I Danai (Tuata De Danan) I I Figli di Danu
Volendo cercare il luogo d’origine dei danai, la traccia più sicura ed antica la scopriamo in Cilicia, una fertile valle situata tra i monti Tauri ed il Mare di Levante, al confine con la Siria dove la presenza dei danai è attestata dagli autori greci.
In Cilicia è archeologicamente attestata la presenza della cultura della ceramica cardiale, che fu la prima civiltà contadina ad affacciarsi sul Mediterraneo, i cui componenti sono da considerare portatori del cromosoma: “Y G”, il più antico tutt’ora presente in Europa, mentre i caucasici mediterranei erano portatori cromosoma “R1b” evolutosi nel Caucaso nelle due forme principali, “R1a”, nel Caucaso Settentrionale e nella steppa, e “R1b”, nel Caucaso meridionale, si tratta di 2 sotto clade evolutesi nei rispettivi territori dal gruppo “G”.
Quindi i danai portatori del cromosoma “Y R1b” arrivano in Cilicia assieme o si sovrappongono ai pacifici contadini primitivi, ma comunque prima degli elleni popolo di stirpe semita appartenenti al gruppo “J2” che si sono autodefiniti danai per essersi a loro volta sovrapposti a un popolo che ormai era migrato lungo le sponde dell’Egeo fino in Grecia, Balcani Italia e dell’Africa mediterranea, un esempio è la Palestina un toponimo che anticamente indicava la terra dei “Peleset”, cioè il nome attribuito dagli egizi a un popolo caucasico che la bibbia chiama Filistei e i greci Pelasgi. che generazione dopo generazione migrava verso occidente, mentre oggi con il termine palestinese si indicano cittadini arabi appartenenti ai gruppi “J che sono subentrati ai caucasici primitivi.
Gli autori classici identificano la Cilicia come la terra dei danai, e la chiamavano anche: “terra della Danuna”, ma si tratta solo di mitologia, in quanto li identificano come i discendenti dei 50 figli di re Danao, il quale era fratello di Egizio, che a sua volta aveva anche lui 50 figli o figlie.
Del passaggio dei danai dalla Cilicia, le uniche tracce sarebbero i toponimi: della regione, “Danuna”, della capitale, Adana, che tra l’altro sarebbe stato imposto da Alessandro Magno in sostituzione del più antico e semita Antiochia di Cilicia, e quello di Alanya, un toponimo in uso tra i cercatori di metalli preziosi provenienti dall’omonima regione del Caucaso.
Ma la leggenda legata alla lotta per il potere tra i due fratelli provenienti dalla Libia, (così erano chiamate dai greci: la Persia e la Mesopotamia), sarebbe confermata dalla divisione del ceppo genetico “R1b”, una parte del quale, i pelasgi, si sarebbe riversata in direzione della Grecia, mentre l’altra parte, i peleset: avrebbe fondato l’Egitto, per poi continuare fino a Gibilterra, da dove invaderanno la Spagna, l’Irlanda e la Gran Bretagna.
La divisione e provenienza dei danai sarebbe confermata anche dal nome antico delle due regioni caucasiche principali, Iberia oggi chiamata Georgia, cioè gli iberi di re Egizio e l’Albania di Danao oggi chiamata Azerbaijan, popolo che ritroveremo in Italia con l’etnonimo di Albani, e anche sulle coste balcaniche e lungo il corso del Danubio, da dove raggiungeranno la Danimarca, alla quale daranno il nome, ed il nord dell’Europa occidentale, comprese le isole Britanniche.
Comunque Iberia e Albania sono toponimi attribuiti dai greci a quelle due regioni, pertanto Pelasgi e Peleset sembra essere l’etnonimo che i due popoli si erano attribuiti.
Ma la terra d’origine dei danai potrebbe essere ancora più a est, infatti ungo la sponda caucasica del mar Caspio, la terra degli albani confina con una fertile pianura persiana, posta ai piedi dei monti Elburz, che i greci chiamavano “Hyrcania”, oppure “Varkàna” per i persiani antichi, toponimi che entrambi avevano il significato di “Terra dei Lupi”, nomi che ritroviamo oggi nell’italica Irpinia.
In realtà nel greco classico l’aggettivo lupo sarebbe “Lycos”, dal quale il latino “lupus”, pertanto la radice Hyrpus, in uso tra le popolazioni italiche prima dell’arrivo degli elleni, apparterrebbe a una lingua greca molto antica, probabilmente pre indoeuropea.
Queste traduzioni comunque non mi convincono, in quanto la Varkana è dominata dal monte “Damavand”, un vulcano alto 5.610 m, la cui ultima eruzione è avvenuta nel 5.650 a.C., conosciuto anche come la montagna dei lapislazzuli, i quali fin dalla prima età del rame, erano preziosi e ricercati come l’oro, pertanto si tratta di un territorio di origine vulcanica irrigato da numerosi fiumi che scendono dai monti Elburz, quindi una specie di paradiso terrestre, che a quei tempi poteva solo essere chiamato “Terra della Regina”.
La mia ipotesi può sembrare una forzatura, ma “Kana” sinonimo di regina anche se in uso tra i popoli altaici (Turchi) e Mongoli, nella forma femminile “Khanim” contiene la radice “ana”, forma primitiva indoeuropea che significava “Signora Che Nutre” o dea del cibo, oppure regina.
Allo stesso modo per la radice Hyrsus ritengo di escludere qualsiasi traduzione e penso ad un eventuale teonimo come potrebbe essere la celtica “Artios”, l’orsa che domina la frana e l’alluvione, come poteva essere l’Hyrcania durante le eruzioni e le esondazioni di fiumi, Artios era adorata anche come dea dell’abbondanza, ma non trovo traduzioni che possano associare hirpus con ursus.
Una divinità dell’abbondanza norrena (sciti) chiamata “Nerthus”, potrebbe essere una traccia ideale, in quanto porterebbe al latino “Hirctus”, sinonimo di terra alta, da ciò il sostantivo “erta”, equivalente di salita, montagna o alta, quindi Hyrcania poteva significare “Montagna della Regina”.
Da notare che da erta abbiamo la forma inglese di terra: “Earth e quella tedesca “Erde”.
Il toponimo Damavand ha come prefisso un titolo nobiliare “Dama”, che generalmente veniva attribuito alle dee, per il suffisso “Vand”, invece non trovo traduzioni dal sanscrito, pertanto se non si tratta di una corruzione di “Var” sinonimo di terra, posso considerare il persiano moderno “Wind”, che nell’antichità aveva il significato di bianco dal quale aveva origine il teonimo solare Windos.
Quindi sul significato del toponimo Damavand si possono fare 3 ipotesi: la prima sarebbe piaciuta al mio ispiratore: Robert Graves, cioè “Dea Bianca”, anche per le nevi perenni che la ricoprono, la seconda: “Dea Terra”. Perché con le sue eruzioni crea la terra che poi fertilizza con le abbondanti acque dei suoi ghiacciai, con la terza ipotesi, considerando che sul fronte opposto, nella catena caucasica principale, troviamo un altro vulcano alto 5.642 m la cui ultima eruzione è avvenuta nel 1.660 a.C., il cui nome fa riferimento a una divinità solare “El” per i semiti Elios per gli elleni, pertanto si può supporre che per gli aryani persiani, la dea del Damavand, pur mantenendo il ruolo di Grande Madre, con l’affermazione dei culti solari, fosse diventata la compagna del dio solare.
Aggirando il mar Caspio, la Varkana ci immette nel deserto del “Karakum”, (Turkmenistan), il quale domina la sponda orientale del Caspio, anticamente questo deserto era chiamato “Dahistàn”, vale a dire terra dei “Dahae” in latino, oppure Dahan”, in persiano, una confederazione di tre tribù: i “Parni”, i “Xanthii”, e i “Pissuri”, un popolo scomparso verso la fine del II millennio a.C.
Da precisare che il toponimo Dahan e l’etnonimo dahae sarebbero originati dalla radice: “Dhara”, che significa terra, pertanto mi sembra evidente il riferimento alla Grande Madre Terra.
Considerando che la desertificazione del Karakum è la conseguenza dei forti venti che caratterizzano il territorio, si può pensare che in origine la steppa fosse rigogliosa e permettesse il sostentamento di un numero considerevole di persone a contatto con il mar Caspio, il quale comunque costituiva una fonte di cibo.
Pertanto il processo di desertificazione progressiva sarebbe stato la causa di ondate migratorie periodiche, che hanno portato i dahae verso il Caucaso e il Mediterraneo.
Le uniche notizie sui dahae le abbiamo dal “rigveda”, la bibbia dell’induismo, il quale ha rivoluzionato le antiche tradizioni vediche che venivano tramandate solo per via orale, ma non ha trovato proseliti tra i persiani.
Menzionati come Dasa, il rigveda li indica come demoni nemici degli Aryani, questo mi porta alla conclusione che fossero adoratori di Varuna, figlio di Danu, ma declassato dagli induisti a demone, re dei naga i quali evidentemente erano i Dahae.
Infatti proprio la desertificazione del territorio sarebbe stata la causa della diaspora religiosa che ha indotto gli aryani sciti a demonizzare Varuna il dio delle acque, colpevole di imprigionare in cielo la Grande Madre, e quindi di impedire alla pioggia di cadere.
Ricordiamoci che nel II millennio a.C., gli aryani sciti invasero l’India imponendo il culto di Shiwa, da cui l’etnonimo sciti, mentre tra gli aryani persiani si diffuse il monoteismo con i culti solari di Mitra e Aura Mazda.
Infatti i danai migrati in Grecia fondarono la città di “Argos” un preciso riferimento al sole, in quanto dal greco antico Argos avrebbe il significato di “Bianco”, “Splendente”, e “Lucente”, lo stesso significato di “Wilios” la divinità solare di Wilusa, la Troia Omerica, che i greci chiamavano Apollo o Elios.
Una testimonianza del legame dei danai con il Dahan ce la fornisce il fiume Hari il quale si perde nel deserto, proprio a causa dell’insabbiamento provocato dal vento, infatti il suo idronimo significa Aryo, ma viene chiamato anche con il nome della città di Herat che attraversa, lungo il quale viveva la tribù dei parni.
Prolungando idealmente il corso dell’Hari in direzione del mare, si incontrano una serie di oasi probabilmente alimentate dallo scorrere sotterraneo dell’Hari, le quali fanno parte di una regione chiamata: “Margiana”, “Margus” in persiano antico, la cui capitale è la città di “Mary”, chiamata anche “Merv”.
Si tratta di toponimi che hanno come base la radice indoeuropea: “Magus”, quindi etimologicamente affini all’insubre “Magana”, che indicava un: “Campo sacro alla Regina.
La Margiana e la confinante “Bactriana”, un altro toponimo che ha come suffisso la radice “Ana”, sinonimo di dea, praticamente il territorio che si estende tra il vecchio corso dell’Hari e l’Amu Darya, era sede di una cultura neolitica che gli archeologi hanno chiamato Oxos, dal nome greco dell’Amu Darya.
Con ogni probabilità il confine tra il mondo scita e quello persiano era costituito dal fiume “Amu Darya” sinonimo di “Mare Fiume”, quindi corruzioni fonetiche a parte, con questo idronimo si voleva identificare la Grande Madre Danu che personificandosi nel fiume, incontrava Varuna, il dio delle acque, personificato dal mare.
Anticamente l’Amu Darya era il fiume più importante del medio Oriente, lungo oltre 2.600 Km sorge sui monti del Pamir e sfociava nel mar Caspio. Oggi a causa dei prelievi di acqua per l’irrigazione, la sua portata si è talmente ridotta fino a perdersi nel deserto.
L’Amu Darya sarebbe stata anche la via di collegamento tra il Caucaso e la valle dell’Indo dalla quale sarebbero passati i primi indoeuropei, in quanto il suo ramo sorgentizio più importante chiamato “Panj”, discende dai monti “Hindu Kush”, i quali segnano il confine tra l’Afghanistan e il Pakistan.
Più a Nord Est troviamo la valle del fiume Zeravshan sinonimo di Portatore d’Oro, un tempo si perdeva nel deserto oggi viene tatto affluire nell’Amu Darya.
Nella valle del Zeravshan troviamo la mitica Samarkanda, al cui toponimo in lingua sadiana (dialetto iranico) viene attribuito il significato di “Fortezza di Pietra”, ma a mio parere essendo la città un avamposto scita il suo nome aveva il significato di: “Forte di Samara”.
Una traccia Sull’esistenza di una divinità chiamata Samara potrebbe essere anche il nome dei semi o frutti di alcuni alberi come l’olmo l’acero, il frassino ecc., i quali sono chiamati samara, quindi considerando le altre grandi madri del passato, che prendevano il nome dai semi, come Mil la dea del miglio il primo cereale ad essere coltivato, o Cerere la dea dei cereali, mi viene spontaneo considerare la stessa ipotesi per samara.
Ma più che altro è la forma di questi semi simile a un nocciolo di ciliegia dotato di gambo, che mi intriga, infatti la ciliegia, prunus avium quella europea, prunus cerasus quella asiatica, chiamata sciresa in lombardo oppure amarena o marasca, ha nomi etimologicamente affini al teonimo Samara, in oltre la ciliegia, oltre ad essere stata in passato, il frutto più abbondante in Eurasia, è il primo frutto a maturare, tra fine maggio e metà giugno, proprio nel periodo in cui si celebrava il ritorno nel mondo dei vivi della grande madre “Natura”.
Sicuramente per gli antichi la ciliegia rappresentava l’abbondanza dopo le ristrettezze alimentari dell’inverno, pertanto per loro aveva sicuramente un notevole valore spirituale, tanto da poter essere stato un albero sacro a una Grande Madre.
Ma il fatto che Samara era un idronimo che gli sciti attribuivano ai fiumi, presente anche in Europa, perfino con le varianti: Tamara Tanaro Tamre Tamigi, e considerando che la traduzione in turco di Kanda mi dà “Sangue”, posso ipotizzare che Samarkanda fosse il nome scita del fiume Zeravshan, il quale si perde nel deserto, simboleggiando quindi il: “Sangue di Samara”, che si perde nel deserto, perché secondo il rigveda è stata uccisa o divorata dal demone Varuna. Lo stesso avviene in Italia a “Samarà” (Samarate), dove il fiume Arno si perde nella brughiera.
Anche se si tratta solo di una mia ipotesi, noto che l’idronimo Zeravshan ha come suffisso la radice indoeuropea “shan”, sinonimo di regina mentre per la radice Zerav non trovando traduzioni, ma volendo trovare un significato alla radice, posso ipotizzare un sinonimo etimologicamente affine: “Zara”, città fondata dai Liburni, (pelasgi) quindi un popolo con radici persiane.
Il nome primitivo di Zara era Jadera, è in origine era un’isola separata dal continente da uno stretto canale, che in seguito è stato riempito. Questo toponimo primitivo mi fa pensare alla “Bajadera”, antica ballerina del tempio, un sostantivo del quale l’unica traduzione che trovo è “pluviale”, quindi è provabile che Jadera fosse un sostantivo antico relativo alla pioggia, e che nel tempio di Samarkanda (Zeravshan), ci fosse una Bajadera che praticava la danza della pioggia.
Molto eloquente sul culto di Samara è anche il nome dell’antica capitale israelita, Samaria, un toponimo che nella tradizione indoeuropea significherebbe letteralmente: “Signora dell’Estate”.
Il nome ebraico “Shomrom”, invece avrebbe il significato di “Torre di Guardia”, in quanto la città è situata su un altipiano circondato da una ripida scarpata, dal quale si domina il territorio circostante, ma tale caratteristica la rende assimilabile anche a un Varahi indoeuropeo, sacro in particolare a una divinità lunare considerata la guardiana della porta del Cielo, che veniva identificata con la luna, come per esempio Retia Phora sulle Alpi.
Quindi Samara era la guardiana del Cielo, e il suo culto sarebbe arrivato in Palestina all’inizio del II millennio a.C., con i Mitanni, i quali provenivano dall’area euroasiatica (terza ondata kurgan, e saranno chiamati Filistei dalla bibbia, e Hyksos dagli egizi, i quali riusciranno a cacciarli solo dopo la metà del II millennio a.C., quando i primi pastori israeliti potranno insediarsi nella piana di Jezreel e troveranno le mura di Gerico già abbattute.
P.S.
Nell’elaborare i miei saggi ho commesso un errore nell’attribuire la discendenza dell’aplogruppo R dal gruppo G, quando in realtà la scienza ne attribuisce l’origine dal gruppo P, se non addirittura al cromosoma patrilineare Q, che appartiene agli amerindi.
Non era mia intenzione contraddire la scienza, in realtà nelle mie conclusioni sono stato distratto da alcune considerazioni logiche, come il fatto che l’aplogruppo P è scarsamente diffuso solo a nord della Mongolia e i suoi portatori presentano caratteristiche tipicamente orientali, mentre il gruppo R anche se con qualche traccia tra glia amerindi, si è diffuso in controtendenza al flusso migratorio ancestrale, nelle aree trans e cis caucasiche e in India, sovrapponendosi ai più antichi aplogruppi F e G.
A onor del vero devo sottolineare che le tracce più antiche dell’aplogruppo R sono state ritrovate in Siberia sulle rive del lago Bajkal, in uno scheletro di bambino dell’età di 4 o 5 anni, appartenente al contesto della cultura di Mal’ta Buret (25.000 a.C.) ai cui componenti sono stati attribuiti caratteri somatici simili ai mongoli.
Comunque si tratta di un R-M207 basale, cioè una mutazione unica, completamente assente negli altri aplogruppi R, mentre il Dna mitocondriale U- Ma-1, indica una linea materna europea, o mediorientale, pertanto dobbiamo supporre che gli appartenenti alla cultura di Mal’ta Buret fossero cacciatori indiani. che inseguendo le mandrie si sono spinti fino in Siberia, alcuni dei quali avrebbero attraversato anche lo stretto di Bering approfittando di una striscia di terra emersa, quando il mare era 120 m. più basso, oggi chiamata Beringia.
Ma bisogna dire che in ogni caso l’aplogruppo maschile R era già penetrato anche nella direzione opposta, in Africa, dove lo troviamo ancora oggi in numerosi soggetti nella mutazione R-V88 presente tra le popolazioni al confine tra Camerun e Nigeria, parlanti dialetti afroasiatici (Fulani), segno che il loro insediamento nel territorio è avvenuto ben prima della nascita delle lingue indoeuropee e del disastroso diluvio universale.
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