Gli Elleni

In pratica dopo i gruppi di cacciatori paleolitici in Grecia cominciarono a stabilirsi i primi scandinavi e slavi, anche loro cacciatori e pastori, provenienti dalla steppa asiatica, in movimento verso Nord, al seguito delle mandrie selvatiche, ai quali a partire dal 6000 a.C. si stabilirono in forma stabile i primi agricoltori indoeuropei, provenienti dal Caucaso settentrionale, i quali svilupparono le civiltà Minoica e Micenea.

Verso la fine dell’età del Bronzo (1700 a.C.) con la caduta dell’impero ittita, i pastori semiti (gli elleni) provenienti dalla Siria invasero l’Anatolia e da li riuscirono a penetrare anche nel Peloponneso, provocando la fine della cultura micenea, e il conseguente medioevo ellenico, fermandosi solo di fronte alla potenza delle 12 città attiche, guidate da Atene.

Da qui la rivalità tra i guerrieri spartani e gli indoeuropei attici, i quali quando l’indoeuropeo Ciro invaderà la grecia loro non interverranno, convinti che i persiani volessero attaccare solo i semiti.

Alla fine, le due culture si sarebbero accordate accettando la libera convivenza tra le due Etnie, così che mentre il peloponneso adorava il panteon olimpico Atene e il nord della grecia continuarono ad adorare Athena la dea del sapere e della saggezza, generando così quella cultura classica, che oggi erroneamente viene attribuita agli Elleni.

In pratica era l’inizio della contrapposizione ideologica che continua ancora oggi tra il sapere degli indoeuropei, e il credere dei semiti.

Partendo dalle certezze, sappiamo che i pre elleni chiamati Pelasgi erano popolazioni di origine caucasica (Iberia e Albania, le attuali Georgia e Azerbaijan), i quali geneticamente appartenevano all’aplogruppo paterno “R1b” la linea genetica oggi prevalente nell’Europa occidentale, e praticavano il culto della Grande Madre Thera.

Queste popolazioni, anche se gli studiosi li definiscono “pre indoeuropei”, lasceranno nella lingua greca una traccia indelebile della loro presenza, con il suffisso “os”, caratteristico anche della lingua spagnola, in quanto anche gli iberi spagnoli erano originari del Caucaso.

Successivamente, in Grecia emerse la civiltà minoica legata al culto del toro, ma in realtà si trattava di una cultura matriarcale, che vedeva nel toro l’amante della Grande Madre, e non più il serpente, la quale, si presume che avesse come epicentro l’Isola di Creta, dove aveva sede la casta dominante, questa sudditanza del Peloponneso è dimostrata dal mito del Minotauro, secondo il quale ogni anno i proto greci dovevano inviare a Creta 7 fanciulle e 7 fanciulli da sacrificare al mostro; ciò dimostra che la grande massa della popolazione greca era ancora di etnia caucasica, anche se sottomessa ai signori di Cnosso. In realtà contrariamente a quanto lasciano intendere le leggende mitologiche, il toro era adorato solo perchè era l’amante della grande Madre Thera.

I dati geologici ci dicono che tra il 1600 e il 1700 a.C., sull’isola di Thera (oggi Santorini), caposaldo della cultura matriarcale, in quanto il vulcano era considerato la manifestazione della dea, ci fu un’eruzione distruttiva che portò allo sprofondamento della caldera vulcanica fino a 400 metri sotto il livello del mare.

A questo evento si possono collegare i tre giorni di buio e la pioggia di ceneri che secondo la bibbia ha colpito l’Egitto, mentre nella mitologia greca l’unica traccia sembra essere il mito di Atlantide, forse tramandato dai navigatori, che giungendo sull’isola dopo l’esplosione, l’hanno trovata irriconoscibile.

Gli studiosi ritengono che si è trattato di una delle più grandi catastrofi vulcaniche che hanno colpito la terra; oltre ai 10 anni di terremoti e alle esplosioni che hanno preceduto il crollo del vulcano bisogna considerare il maremoto che ne è scaturito, il quale ha portato la distruzione a Creta e in tutto l’Egeo e con ogni probabilità anche la morte di tutti i testimoni oculari della catastrofe.

Ciò ha permesso ai traci adoratori di Poseidone (il serpente Varuna) che già occupavano il nord della Grecia, di estendere la loro influenza anche nel Peloponneso che porterà alla nascita della cultura Micenea

Il tredicesimo secolo a.C., è caratterizzato dalla Battaglia di Quadesh (1274 a.C.) tra gli egiziani e gli ittiti e la contemporanea lotta di potere all’interno della città di Ilio (la Troia Omerica, Wilusa per gli ittiti) tra il principe Alaxandu il quale era vassallo dell’imperatore ittita e il ribelle Piyama Radu che si era alleato con un popolo di pastori siriani, che gli ittiti chiamavano Ahhiyawa da ciò il tribale: achei, i quali a loro volta tentavano di penetrare in Anatolia, mentre  tra gli egizi venivano chiamati Ekwesh.

In realtà si trattava di tre tribù, eoli, achei, ioni definite Elleni perché adoratori di una divinità solare chiamata El (l’Elios dei semiti), padre di Zeus.

Le notizie relative a questa vicenda sono giunte parzialmente fino ai giorni nostri grazie alle numerose tavolette d’argilla ritrovate ad Hattusa la capitale del regno ittita.

Molte tavolette sono ancora da decifrare, pertanto in futuro si potranno avere molte più informazioni sulle vicende che hanno visto coinvolto l’impero ittita.

Gli Ahhiyawa vivendo sui monti del Tauro si erano integrati con gli abitanti della Cilicia, l’antica terra dei danai, nel frattempo migrati più a nord forse proprio per allontanarsi dalle scorrerie degli Ahhiyawa, i quali per questo, pur essendo semiti si definivano danai.

In seguito alle scorrerie dei popoli del mare ci sarà il crollo dell’impero ittita, ma in questo bisogna anche considerare un periodo di siccità testimoniata da documenti egiziani, tra i quali è registrato l’invio di cereali agli ittiti colpiti dalla carestia, e non si può nemmeno escludere i numerosi terremoti che durante il secondo millennio a.C. fanno scosso l’Anatolia e il mar Egeo, eventi che hanno sicuramente indebolito le strutture statali, permettendo agli Ahhiyawa  di invadere l’Anatolia con le loro mandrie e le  greggi distruggendo i raccolti, e in seguito di arrivare anche nel Peloponneso, fermandosi solo di fronte alla potenza dei traci, che allora dominavano Atene e l’Attica, coi quali sarebbero giunti ad accordi di pace..

Con l’inizio dell’età classica Zeus prende il sopravvento su Poseidone, il dio dei micenei, forse a causa della siccità che ha colpito l’Anatolia, che ha reso inviso alla gente il dio delle acque, ritenuto responsabile della aridità dei terreni.

Il teonimo Zeus è una corruzione per difetto di pronuncia del nome di Theshup, dio del cielo e del tuono dei semiti siriani, e alter ego dei caucasici Taranis, Taru e del cassita Giove. Si può dire che anche il nome italiano di Gesù e la sua forma aramaica “Yeshua”, sono la corruzione di Teshup, in particolare Gesù è una pronuncia che si avvicina molto al nome di Zeus.

E se secondo la mitologia greca, Zeus diventa re dell’Olimpo dopo aver castrato il padre Crono, per i siriani Teshup nasce da Kumarbi, il quale rimase gravido dopo aver ingoiato i genitali di “Anu”, il dio creatore dell’universo dei sumeri, chiamato anche “An”.

Ma per i cananei di Ugarit, Kumarbi era “El”, il vero creatore, adorato dai semiti preistorici (arabi), tanto che nella bibbia ebraica inizialmente “Yahweh”, è chiamato El.

Questo rende evidente che nelle lingue semite, teonimi come Gesù, Zeus e Teshup indicassero il figlio del dio El Elohim per gli ebrei.

Atene e le altre 11 città dell’Attica rimasero Micenee, e fondarono la lega delle dodici città, le quali a parte la tradizionale ostilità con i guerrieri spartani, riconosceranno Zeus come re dell’Olimpo, ma continueranno ad adorare Athena come matrona della città e dea della sapienza, mentre Atene rimarrà la capitale culturale della Grecia, fino alla romanizzazione.

L’arrivo degli elleni segnerà l’inizio di un periodo buio che oggi viene chiamato Medio Evo Ellenico perché questo periodo non ha lasciato tracce culturali, ma soprattutto ha portato alla scomparsa della scrittura sillabica, che aveva fatto dei minoici con il lineare A, e dei micenei con il lineare B, le civiltà culturalmente più evolute.

E non a caso sarà proprio Atene la culla della rinascita culturale greca.

Dobbiamo considerare che i popoli arabi, sumeri, egiziani e quelli europei, pur appartenendo a ceppi genetici diversi, sono stati accomunati in un’unica comunità religiosa del primo neolitico, che vedeva il Mar Morto come epicentro (Göbekli Tepe), quindi hanno adorato le stesse divinità primordiali, che poi una volta separati hanno modificato eadattato alla propria lingua e convinzioni.

La divinità prima che li univa era la Grande Madre Thera, il cui culto era diffuso attraverso vari teonimi tribali ma riferentesi alla stessa entità.

Il nome di Athena, la potente matrona di Atene e figlia di Giove, secondo teologia ellenica, mentre in realtà era pre esistente all’arrivo degli elleni, in quanto: il suo essere depositaria del sapere, delle arti e della guerra la rende una divinità figlia dell’alleanza tra i saggi danai e i guerrieri traci, i due popopoli greci per eccellenza che daranno origine alla cultura micenea, con Poseidone dio del mare al posto di Varuna e Helios  (Beel in europa) signore del cielo, mentre la Grande Madre diventrerà una divinità tribale assumendo nomi indigeni.

Questa alleanza si diffonderà lungo tutto il corso del Danubio il cui nome sarà cambiato in Istro dal nome indoeuropeo della civetta “Stria”, l’uccello totemico della dea simboleggiato dalla civetta rappresentata sul suo elmo.

Il culto della Stria darà origine a molti toponimi nazionali dei paesi attraversati dall’Istro, come Istria Stiria, Austria.

Lo stesso fenomeno culturale si era già manifestato in medio oriente, con la coesistenza tra semiti e camiti, che ha dato origine al culto della divina “Athirat”, la dea della saggezza di Ugarit, una delle città più antiche, fondata in Siria dagli indoeuropei, e poi semitizzata quando gli ariani migrarono verso l’Egitto e L’Anatolia.

Athirat è indicata anche dalla bibbia con il nome di Asherat, moglie di Ba’al e madre dei suoi settanta figli. Athirat veniva raffigurata con le corna ma non aveva nessuna relazione con i culti di bovini, mentre sembra che il suo nome sia originato da radici ugaritiche, che hanno il significato di falcata, il che potrebbe essere una errata interpretazione di nomi come falco e civetta, simboli di Athena e di Horus il dio falco egiziano, il quale era figlio di Osiride la divinità primordiale egizia portatore del sapere, poi assassinato dall’invidioso fratello Seth (Caino?).

Oltre a perpetuare l’opera del padre, per vendicarlo Horus diventerà un dio della guerra, ingaggiando una lotta infinita contro Seth (l’eterna lotta tra il bene e il male?).

Il compromesso stabilito tra i micenei di Atene e i dori, secondo il quale: Zeus viene riconosciuto come re degli dei, mentre la divinità suprema su Atene rimane alla Stria, che gli elleni chiameranno Athena come Athirat, mentre per compiacenza i micenei la riconosceranno come figlia di Zeus per partogenesi, in pratica si ripropone il tema di Kumarbi che ingoia i genitali di Anu rimanendo gravido.

Secondo il mito Zeus ingoia l’oceanina Meti da lui ingravidata, e trasformata in goccia d’acqua per nasconderla alla vendetta della gelosa Thera.

Apollo, una divinità solare semisconosciuto tra i micenei, ma presente tra gli elleni, nonostante qualche contraddizione, sembra essere il sincretismo di Hubal, divinità lunare adorata ad Harran, oggi Carre, Carran per la bibbia, città posta al confine tra la Turchia e la Siria, dove abitò Abramo dopo aver abbandonato Ur.

Hubal era il dio della luna e i suoi templi più importanti erano proprio a Ur e Carran, e fu adorato dagli arabi fino alla loro islamizzazione, ed ancora oggi c’è chi lo identifica con Allah.

Hubal era la continuazione semita del culto di “Nanna”, il dio lunare dei sumeri e protettore di Ur, il cui simbolo era la “falce lunare”, mentre Carran e Ur erano le sedi dei due templi più importanti dedicati a “Nanna.

L’idolo di Hubal rappresenta un arciere con arco e faretra, le cui frecce contenute erano senza punta e impennaggi, la loro estrazione a caso, determinava un responso divino, ed Apollo oltre che arciere, era molto apprezzato come divinità degli oracoli.

In Siria era adorata anche una divinità solare femmina, chiamata “Kadesh”, come l’omonima città che le era sacra.

Quindi, considerato che nella tradizione ellenica, la divinità lunare apparteneva ad Artemide sorella di Apollo dio del Sole, si può pensare che anche tra Hubal e Kadesh ci sia stata una relazione gemellare, nella quale i greci invertendo i ruoli hanno individuato Apollo e Artemide mentre nelle tradizioni romane Artemide era sostituita da Diana, la quale impugnava l’arco e portava la faretra come Hubal, Infatti Artemide si affianca ad Ecate la dea lunare primitiva, adorata dai pelasgi e dai minoici e a Selene, sorella di Helios la divinità solare degli anatolici, chiamato anche Windos.

El era una divinità di origine caucasica il cui centro di culto era il vulcano El’Brus, dal suo teonimo si sarebbe originato quello di Helios, di Ba’al e di Be’el, che con ogni probabilità era adorato nel regno di Elam, una civiltà mesopotamica antica, della quale si conosce solo il nome biblico, evolutasi di pari passo con quella sumera; si ritiene che fossero persiani, quindi indoeuropeieuropei, e il nome la loro città più importante fu Susa, un toponimo che ritroviamo sparso per l’Italia, da citare la valle Susa con l’omonima città, e la val Sugana

Sull’origine degli elleni trovo molto interessanti gli indizi sugli aramei, una popolazione nomade semita, stanziata prevalentemente in Siria. Adoravano una divinità universale che chiamavano “El Baal”, e la sua consorte Astarte o  Isthar, identificate con il pianeta Venere, i quali si possono considerare i predecessori di Zeus e Hera.

Essendo nomadi gli aramei non hanno mai costituito un vero e proprio stato, pertanto erano in balia dei popoli coni quali venivani in contatto, quindi possono essere indiziati come autori di una migrazione graduale verso la Grecia.

Da aggiungere che le migrazioni arabe continueranno anche in epoca romana, e porteranno alla colonizzazione anche dell’Anatolia, dando origine alla cultura bizantina, e poi seguirà il periodo islamico che continua ancora oggi, quindi possiamo ritenere che in Grecia la popolazione europea è stata progressivamente sostituita da genti di etnia afroasiatica.

Un’altra divinità che tradisce l’origine semita degli elleni era “Afrodite” (Astarte), dea dell’amore, che secondo la mitologia greca era nata dal mare, dopo che “Crono” vi aveva gettato i genitali del padre: Urano; per questo era considerata anche protettrice dei naufraghi, pertanto il suo simbolo era il delfino.

Da ricordare che era individuata nel pianeta Venere, la stella più visibile del firmamento e quindi principale punto di riferimento dei naviganti e dei carovanieri. Essendo figlia di Urano deve essere considerata sorella di Crono e zia di Zeus, Hera e Poseidone.

Nelle culture minoica e micenea non si trova traccia di Afrodite, in quanto il suo ruolo era ricoperto da Thera,chiamata anche Cibele, anche se viene citata da Omero nell’Iliade; in realtà Omero usa il nome di una divinità ellenica dell’età del ferro per indicare una precedente dea  dell’età del Bronzo, con gli stessi attributi chiamata “Etna”, Grande Dea Madre dei palaici, un popolo anatolico di cultura vedica, che Omero indicava però come alleati dei troiani, con il nome di Paflagoni etnonimo in uso in età classica.

In seguito al crollo dell’impero ittita, dal quale erano stati assorbiti, i palaici migrarono in Sicilia, dove fondarono “Palikè” (oggi Paflagonia), e diedero il nome della loro dea al vulcano di Catania, dove lavorava “Adranos”, dio del fuoco e marito di Etna, quindi un omonimo del greco “Efesto” marito di Afrodite.

Afrodite viene indicata come moglie di Efesto, dio del fuoco e della metallurgia, ed essendo figlia di Urano, prima divinità assoluta del pantheon greco,  il Varuna della tradizione Vedica, la sua origine si ricollega alla tradizione primordiale della Grande Madre  che emerge dalla bocca del vulcano e si mette a creare il mondo, pertanto gli antichi attribuendo ad Urano la paternità di Afrodite senza che ci sia stata una madre, scavalcarono il culto matriarcale della Grande Dea Madre, creatrice dell’universo, ed affermarono la primigenie patriarcale.

Teia era un’altra divinità primordiale come Afrodite, anch’essa figlia di “Urano”, ma nata da “Gea”, la Madre Terra. Teia essendo indicata come madre di “Helios”, il sole, “Selene”, la luna, ed “Eos”, l’aurora, appare evidente che il teonimo è una sovrapposizione greca al nome di una divinità anatolica pre ellenica, con ciò si può comparare il nome di Teia o “Theia”, come la indicava “Esiodo”, con quello di “Thera”, la dea del vulcano in epoca minoica.

Secondo la mitologia ellenica, marito e fratello di Teia era “Iperione”, colui che precede il sole e il titano della vigilanza e dell’osservanza etimologicamente il suo nome significava “Re Superiore”, da “iper e regio”, quindi possedeva gli stessi attributi di “Varuna”, e come Varuna nella tradizione induista, rivestiva il ruolo di divinità sconfitta; infatti Varuna era il garante dell’ordine cosmico e re degli “Asura”, i quali erano le divinità sconfitte dai “Deva” (induismo), e retrocessi a demoni, i “Naga”, uomini serpente, dei quali Varuna era il re.

Nella lotta tra le divinità elleniche Iperione è uno dei titani sconfitti, che si erano schierati al fianco di Crono, contro Zeus. Nella “Teogonia”, di Esiodo e nella “Titanomachia”, di Eumelo di Corinto, viene descritta la guerra che gli dei dell’Olimpo guidati da Zeus, condussero contro i loro padri, i titani condotti da Crono, la quale si sarebbe svolta trecentoventidue anni prima della guerra di Troia e durò 10 anni.

Pertanto possiamo ipotizzare che si sia combattuta all’incirca nel 1500 a.C., periodo in cui si verificò l’esplosione del Vulcano Thera, una catastrofe sicuramente preceduta da anni di terremoti ed eruzioni, fenomeni naturali, che in funzione delle credenze di allora, probabilmente offrirono agli oracoli il pretesto per parlare di guerra tra gli dei e dopo l’esplosione del vulcano, affermare la vittoria di Poseidone sui titani e la Grande Madre.

Infatti le leggende raccontano che la guerra fu vinta grazie ai “Centimani”, mostri dalle cento mani, i quali sovvertirono l’esito della battaglia scagliando una miriade di pietre contro i titani, fino a farli precipitare nel “Tartaro” (inferno), dove Poseidone li imprigionò con una porta di metallo fabbricata apposta, e poi sigillata.

Mi sembra evidente che le leggende facevano riferimento all’isola del vulcano Thera, sede del culto della Grande Dea Madre e delle antiche divinità vediche, la cui esplosione con relativo lancio verso l’alto e conseguente ricaduta delle pietre, mise fine a un periodo di forte attività sismica, mentre lo sprofondamento di una parte dell’isola, venne attribuito all’opera di Poseidone che imprigionava i titani.

In realtà l’esplosione dell’isola Thera segnò l’inizio del regno di Poseidone, mentre Zeus divenne il re degli dei in qualità di fratello di Poseidone, solo sette secoli più tardi durante il medio evo ellenico, periodo del quale manca ogni testimonianza storica e letteraria.

In pratica la Titanomachia non è altro che un mito sincretico della tradizione vedica, con Poseidone come alter ego di Varuna signore delle acque, il quale detronizza la grande madre Thera (Danu nella tradizione vedica), e in seguito viene spodestato dal fratello Zeus, signore del tuono e del fulmine, alias Indra.

Una testimonianza della sovrapposizione di un culto semita a uno pelasgico avvenuta in Grecia, ce la offre la mitologia, secondo la quale: “Elleno”, il capostipite degli elleni, sposa la ninfa delle acque dei tessali, “Orseide”, che troviamo anche sul Damavand la terra dei danai, e che altri non è che “Artios”,  una delle matrone delle acque dei celti, l’Orsa che Domina la Frana e l’Alluvione”; adottata dai nuovi arrivati per convertire la popolazione autoctona alla religione della nuova casta dominante. Dal matrimonio tra il siriano Elleno e la pelasgica Orseide, nasceranno: Doro Eolo e Xuto, i tre capostipiti delle popolazioni del Peloponneso.

Sempre secondo la mitologia ellenica, Elleno era figlio di Deucalione, unico sopravissuto al grande dilavamento, assieme alla moglie Pirra, ma alcuni autori ne attribuiscono la paternità a Zeus; a sua volta Deucalione era figlio del titano Prometeo, il quale a sua volta, su incarico di Zeus, aveva forgiato l’uomo dal fango, e lo aveva animato per mezzo del fuoco, ma Zeus vedendo che gli uomini diventavano sempre più avidi e superbi, decise di sterminarli. Prometeo allora informò Deucalione sulla volontà di Zeus, e invitò il figlio a costruirsi un’arca allo scopo di mettersi in salvo.

In seguito Prometeo vedendo che senza il fuoco gli umani morivano, rubò il fuoco divino, per donarlo agli uomini, provocando nuovamente l’ira di Zeus che lo incatenò a una rupe sul monte El’Brus (la casa di El il creatore del mondo) mandando ogni giorno un’aquila a mangiarli il fegato, che gli ricresceva durante la notte.

Ovviamente tutto ciò è frutto della fantasia degli autori ellenici, in quanto il culto di Zeus si diffuse in Grecia durante l’età del ferro, quando il culto di Cassio, il suo alter ego persiano era già sbarcato in Albania e in Italia sette secoli prima.

Rino Sommaruga

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21 risposte a “Gli Elleni”

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