Gli Elleni

Sull’origine dei greci esistono mote ipotesi e nessuna certezza, ed in ciò non ci aiuta nemmeno la genetica, in quanto oggi nella Grecia moderna, e in quella che fu la Magna Grecia (Italia Meridionale), l’Anatolia e l’Albania, sembrano prevalere linee genetiche appartenenti ad aplogruppi afroasiatici come lo” E1″, Nord Africa o Mediterranea e lo “J2” Arabo Settentrionale o siriano.

Infatti esiste il problema di capire se questa prevalenza afroasiatica sia il risultato di una migrazione graduale o se gli elleni erano afroasiatici già in origine.

Partendo dalle certezze, sappiamo che i pre elleni chiamati Pelasgi erano popolazioni di origine caucasica (Iberia e Albania, le attuali Georgia e Azerbaijan), i quali geneticamente appartenevano all’aplogruppo paterno “R1b” la linea genetica oggi prevalente nell’Europa occidentale, e praticavano il culto della Grande Madre Thera.

Queste popolazioni, anche se gli studiosi li definiscono “pre indoeuropei”, lasceranno nella lingua greca una traccia indelebile della loro presenza, con il suffisso “os”, caratteristico anche della lingua spagnola, in quanto anche gli iberi spagnoli erano originari del Caucaso.

Successivamente, in Grecia emerse la civiltà minoica legata al culto del toro, la quale, si presume che avesse come epicentro l’Isola di Creta, dove aveva sede la casta dominante, questa sudditanza del Peloponneso è dimostrata dal mito del Minotauro, secondo il quale ogni anno i proto greci dovevano inviare a Creta 7 fanciulle e 7 fanciulli da sacrificare al mostro; ciò dimostra che la grande massa della popolazione greca era ancora di etnia caucasica, anche se sottomessa ai signori di Cnosso. In realtà contrariamente a quanto lasciano intendere le leggende mitologiche, il toro era adorato solo perchè era l’amante della grande Madre Thera.

I dati geologici ci dicono che tra il 1600 e il 1700 a.C., sull’isola di Thera (oggi Santorini), caposaldo della cultura matriarcale, in quanto il vulcano era considerato la manifestazione della dea, ci fu un’eruzione distruttiva che portò allo sprofondamento della caldera vulcanica fino a 400 metri sotto il livello del mare.

A questo evento si possono collegare i tre giorni di buio e la pioggia di ceneri che secondo la bibbia ha colpito l’Egitto, mentre nella mitologia greca l’unica traccia sembra essere il mito di Atlantide, forse tramandato dai navigatori, che giungendo sull’isola dopo l’esplosione, l’hanno trovata irriconoscibile.

Gli studiosi ritengono che si è trattato di una delle più grandi catastrofi vulcaniche che hanno colpito la terra; oltre ai 10 anni di terremoti e alle esplosioni che hanno preceduto il crollo del vulcano bisogna considerare il maremoto che ne è scaturito, il quale ha portato la distruzione a Creta e in tutto l’Egeo e con ogni probabilità anche la morte di tutti i testimoni oculari della catastrofe.

Ciò ha permesso ai traci adoratori di Poseidone che già occupavano il nord della Grecia, di estendere la loro influenza anche nel Peloponneso.

Il tredicesimo secolo a.C., è caratterizzato dalla Battaglia di Quadesh (1274 a.C.) tra gli egiziani e gli ittiti e la contemporanea lotta di potere all’interno della città di Ilio (la Troia Omerica, Wilusa per gli ittiti) tra il principe Alaxandu il quale era vassallo dell’imperatore ittita e il ribelle Piyama Radu che si era alleato con un popolo di pastori siriani, che gli ittiti chiamavano Ahhiyawa da ciò il tribale: achei, i quali a loro volta tentavano di penetrare in Anatolia, mentre  tra gli egizi venivano chiamati Ekwesh.

Le notizie relative a questa vicenda sono giunte parzialmente fino ai giorni nostri grazie alle numerose tavolette d’argilla ritrovate ad Hattusa la capitale del regno ittita.

Molte tavolette sono ancora da decifrare, pertanto in futuro si potranno avere molte più informazioni sulle vicende che hanno visto coinvolto l’impero ittita.

Gli Ahhiyawa vivendo sui monti del Tauro si erano integrati con gli abitanti della Cilicia, l’antica terra dei danai, nel frattempo migrati più a nord forse proprio per allontanarsi dalle scorrerie degli Ahhiyawa, i quali per questo, pur essendo semiti si definivano danai.

In seguito alle scorrerie dei popoli del mare ci sarà il crollo dell’impero ittita, ma in questo bisogna anche considerare un periodo di siccità testimoniata da documenti egiziani, tra i quali è registrato l’invio di cereali agli ittiti colpiti dalla carestia, e non si può nemmeno escludere i numerosi terremoti che durante il secondo millennio a.C. fanno scosso l’Anatolia e il mar Egeo, eventi che hanno sicuramente indebolito le strutture statali, permettendo agli Ahhiyawa  di invadere l’Anatolia con le loro mandrie e le  greggi distruggendo i raccolti, e in seguito anche il Peloponneso, fermandosi solo di fronte alla potenza dei traci, che allora dominavano Atene e l’Attica, coi quali sarebbero giunti ad accordi di pace..

Con l’inizio dell’età classica Zeus prende il sopravvento su Poseidone, il dio dei micenei, forse a causa della siccità che ha colpito l’Anatolia, che ha reso inviso alla gente il dio delle acque, ritenuto responsabile della aridità dei terreni.

Il teonimo Zeus è una corruzione per difetto di pronuncia del nome di Theshup, dio del cielo e del tuono dei semiti siriani, e alter ego dei caucasici Taranis, Taru e del cassita Giove. Si può dire che anche il nome italiano di Gesù e la sua forma aramaica “Yeshua”, sono la corruzione di Teshup, in particolare Gesù è una pronuncia che si avvicina molto al nome di Zeus.

E se secondo la mitologia greca, Zeus diventa re dell’Olimpo dopo aver castrato il padre Crono, per i siriani Teshup nasce da Kumarbi, il quale rimase gravido dopo aver ingoiato i genitali di “Anu”, il dio creatore dell’universo dei sumeri, chiamato anche “An”.

Ma per i cananei di Ugarit, Kumarbi era “El”, il vero creatore, adorato dai semiti preistorici (arabi), tanto che nella bibbia ebraica inizialmente “Yahweh”, è chiamato El.

Questo rende evidente che nelle lingue semite, teonimi come Gesù, Zeus e Teshup indicassero il figlio del dio El Elohim per gli ebrei.

Atene e le altre 11 città dell’Attica rimasero Micenee, e fondarono la lega delle dodici città, le quali a parte la tradizionale ostilità con i guerrieri spartani, riconosceranno Zeus come re dell’Olimpo, ma continueranno ad adorare Athena come matrona della città e dea della sapienza, mentre Atene rimarrà la capitale culturale della Grecia, fino alla romanizzazione.

L’arrivo degli elleni segnerà l’inizio di un periodo buio che oggi viene chiamato Medio Evo Ellenico perché questo periodo non ha lasciato tracce culturali, ma soprattutto ha portato alla scomparsa della scrittura sillabica, che aveva fatto dei minoici con il lineare A, e dei micenei con il lineare B, le civiltà culturalmente più evolute.

E non a caso sarà proprio Atene la culla della rinascita culturale greca

Dobbiamo considerare che i popoli arabi, sumeri, egiziani e quelli europei, pur appartenendo a ceppi genetici diversi, sono stati accomunati in un’unica comunità religiosa del primo neolitico, che vedeva il Mar Morto come epicentro (Göbekli Tepe), quindi hanno adorato le stesse divinità primordiali, che poi una volta separati hanno adattato alla propria lingua e convinzioni.

La divinità prima che li univa era la Grande Madre Thera, il cui culto era diffuso attraverso vari teonimi tribali ma riferentesi alla stessa entità.

Al suo culto era associato anche quello del figlio primogenito nato per partenogenesi ed identificato con il serpente o il dragone, come nei popoli orientali.

In seguito a ripetuti periodi di siccità che secondo gli oracoli erano causati dal serpente signore delle acque, ci fu un ripudio della famiglia divina, a favore di altre divinità come il Toro ad esempio il quale con i suoi lampi favoriva la pioggia, ma anche il Sole, al quale venne consacrato il vulcano Strobilus, situato nell’antica Iberia (Caucaso), che fino ad allora a causa delle sue eruzioni era considerato una manifestazione della Grande Madre Terra, per cui il suo nome fu mutato in El’Brus in onore del dio solare El.

Nella lingua sanscrita la radice “Brus”, ha il significato di “Strega”, ciò mi ha ingannato facendomi credere che El fosse una divinità femminile, in realtà, dal primitivo brus potrebbe anche derivare il lombardo “Brüsa”, sinonimo dell’italico “Brucia”, quindi si potrebbe intendere che: El brucia … la strega? Infatti non bisogna dimenticare la tradizione cristiana (quindi di origine semita) di bruciare le streghe, sicuramente iniziata con la prevaricazione della cultura patriarcale su quella matriarcale, quando le grandi madri vennero assimilate a figure diaboliche.

Ne è l’esempio la stessa bibbia con il libro della genesi, che ci parla di Lilith la moglie non sottomessa di Adamo, che viene individuata come un demone, forse lo stesso serpente tentatore, simbolo e manifestazione terrena delle grandi madri vediche, il quale convince Eva a disubbidire al patriarca e di indurlo al peccato.

Il nome di Athena, la potente matrona di Atene e figlia di Giove (secondo il pantheon olimpico), sembra la corruzione di quello della divina “Athirat”, la signora del mare di Ugarit, moglie di El e madre dei suoi settanta figli: gli dei, citata anche nella bibbia con il nome di “Asherah” e a sua volta, indicata come consorte Ba’al.

Athirat veniva raffigurata con le corna ma non aveva nessuna relazione con i culti di bovini, mentre sembra che il suo nome sia originato da radici ugaritiche ed ebraiche, che hanno il significato di falcata, il che potrebbe essere una errata interpretazione di nomi come falco e civetta, simboli di Athena.

Il simbolo della civetta e l’analogia della sua nascita con quella del dio falco degli egizi, Horus, può generare l’idea che il culto di Athena sia una forma sincretica della religione di Athirat, giunta nella Grecia settentrionale dalla Siria, portata dagli eoli, il primo popolo ellenico a colonizzare il paese, ma in realtà  il teonimo  Athena è riconducibile direttamente al suo uccello totemico, la civetta  “Athena Noctua”, quindi una divinità proveniente da un culto matriarcale pre nilotico.

Che Athena, dea del sapere della guerra e delle arti fosse una divinità pre ellenica, ce lo dimostra anche il fatto che secondo la loro teologia, nasce già adulta dalla coscia o dalla testa di Zeus, dopo che questi, per paura di procreare un figlio ribelle, convinse la sua amante, l’oceanina “Meti”, a trasformarsi in una goccia d’acqua, che poi deglutì, ma Meti era già gravida, e a Zeus non rimase altro da fare che farsi estrarre la figlia da Efesto. A sua volta Iside rimase gravida di Horus per mezzo di un rito magico, dopo che Osiride era morto.

La nascita di Athena ripropone il tema di Kumarbi che ingoia i genitali di Anu rimanendo gravido e ci suggerisce il compromesso stabilito tra i micenei di Atene e i dori, vale a dire: Zeus viene riconosciuto come re del cielo, mentre la divinità suprema di Atene passa dalla grande madre dei minoici alla figlia di Zeus, Athena, la quale assume poteri assoluti compresa la divinità sui guerrieri.

Apollo semisconosciuto tra i micenei ma presente tra gli Ittiti, nonostante qualche contraddizione, sembra essere il sincretismo di Hubal, divinità adorata ad Harran, oggi Carre, Carran per la bibbia, città posta al confine tra la Turchia e la Siria, dove abitò Abramo dopo aver abbandonato Ur.

Hubal era il dio della luna e i suoi templi più importanti erano proprio a Ur e Carran, e fu adorato dagli arabi fino alla loro islamizzazione, ed ancora oggi c’è chi lo identifica con Allah.

Hubal era la continuazione semita del culto di “Nanna”, il dio lunare dei sumeri e protettore di Ur, il cui simbolo era la “falce lunare”, mentre Carran e Ur erano le sedi dei due templi più importanti dedicati a “Nanna.

L’idolo di Hubal rappresenta un arciere con arco e faretra, le cui frecce contenute erano senza punta e impennaggi, la loro estrazione a caso, determinava un responso divino, ed Apollo oltre che arciere, era molto apprezzato come divinità degli oracoli.

In Siria era adorata anche una divinità solare femmina, chiamata “Kadesh”, come l’omonima città che le era sacra.

Quindi, considerato che nella tradizione greca la divinità lunare, apparteneva ad Artemide sorella di Apollo dio del Sole, mentre nelle tradizioni romane Artemide era sostituita da Diana, la quale impugnava l’arco e portava la faretra come Hubal, si può pensare che anche tra Hubal e Kadesh ci sia stata una relazione gemellare, nella quale i greci invertendo i ruoli hanno individuato Apollo e Artemide
Infatti Artemide si affianca ad Ecate la dea lunare primitiva, adorata dai pelasgi e dai minoici e a Selene, sorella di Helios la divinità solare degli anatolici, che nel frattempo aveva sostituito il celtico Windo, grazie al crollo dell’impero ittita, che aveva permesso la colonizzazione dell’Anatolia da parte di popoli afroasiatici.

El era una divinità che con ogni probabilità era adorata nel regno di Elam, una civiltà mesopotamica antica, della quale si conosce solo il nome biblico, evolutasi di pari passo con quella sumera; si ritiene che fossero persiani, quindi europei, e il nome la loro città più importante fu Susa, un toponimo che ritroviamo sparso per l’Italia, da citare la valle Susa con l’omonima città, e la val Sugana

Sull’origine degli elleni trovo molto interessanti gli indizi sugli aramei, una popolazione nomade semita, stanziata prevalentemente in Siria. Adoravano una divinità universale che chiamavano “El Baal”, e la sua consorte Astarte, i quali si possono considerare i predecessori di Zeus e Hera.

Essendo nomadi gli aramei non hanno mai costituito un vero e proprio stato, pertanto erano in balia dei popoli vicini, quindi possono essere indiziati come autori di una migrazione graduale verso la Grecia.

Da aggiungere che le migrazioni arabe continueranno anche in epoca romana, e porteranno alla colonizzazione anche dell’Anatolia, dando origine alla cultura bizantina, e poi seguirà il periodo islamico che continua ancora oggi, quindi possiamo ritenere che in Grecia la popolazione europea è stata progressivamente sostituita da genti di etnia afroasiatica.

Un’altra divinità che tradisce l’origine semita degli elleni era “Afrodite”, dea dell’amore, che secondo la mitologia greca era nata dal mare, dopo che “Crono” vi aveva gettato i genitali del padre: Urano; per questo era considerata anche protettrice dei naufraghi, pertanto il suo simbolo era il delfino.

Da ricordare che era individuata nel pianeta Venere, la stella più visibile del firmamento e quindi principale punto di riferimento dei naviganti e dei carovanieri. Essendo figlia di Urano deve essere considerata sorella di Crono e zia di Zeus, Hera e Poseidone.

Nelle culture minoica e micenea non si trova traccia di Afrodite, in quanto il suo ruolo era ricoperto da Thera o Athena, anche se viene citata da Omero nell’Iliade; in realtà Omero usa il nome di una divinità ellenica dell’età del ferro per indicare una precedente dea anatolica con gli stessi attributi chiamata “Etna”, Grande Dea Madre dei palaici, un popolo anatolico di cultura vedica, che Omero indicava come alleati dei troiani, con il nome di Paflagoni etnonimo in uso in età classica.

In seguito al crollo dell’impero ittita, dal quale erano stati assorbiti, i palaici migrarono in Sicilia, dove fondarono “Palikè” (oggi Paflagonia), e diedero il nome della loro dea al vulcano di Catania, dove lavorava “Adranos”, dio del fuoco e marito di Etna, quindi un omonimo del greco “Efesto” marito di Afrodite.

Il culto della Afrodite greca nasce a Cipro e si diffonde nel mondo ellenico durante l’età classica, evidente traccia delle migrazioni semite in Grecia; infatti Afrodite era la continuazione dei culti legati alle divinità semite Astarte e Istar, le quali a loro volta continuavano la tradizione sumera di “Inanna”, dea dell’amore, della bellezza e divinità materna. Da notare che i teonimi Astarte ed Istar contengono entrambi la radice “star” sinonimo di stella, quindi indicavano la stella più importante “Venere”.

Afrodite essendo indicata come moglie di Efesto, dio del fuoco e della metallurgia, ed essendo figlia di Urano, prima divinità assoluta del pantheon greco, la sua origine si ricollega alla tradizione primordiale della Grande Madre  che emerge dalla bocca del vulcano e si mette a creare il mondo, pertanto gli antichi attribuendo ad Urano la paternità di Afrodite senza che ci sia stata una madre, scavalcarono il culto matriarcale della Grande Dea Madre, creatrice dell’universo, ed affermarono la primigenie patriarcale.

Erodoto cita una “Afrodite Urania”, dea madre di Ascalona (Migdal Ashqelon; torre nascosta?), città fondata dai “filistei”, un popolo di cultura vedica perennemente in lotta con i semiti, che gli egizi chiamavano “Peleset”, e i greci “Pelasgi”, dai quali deriva il nome della Palestina. Nella ricerca sulle origini dei culti divini, va sottolineata l’importanza di “Afrodite Urania”, perchè in seguito Ascalona fu conquistata dai cananei e poi dai fenici, i quali essendo di cultura semita, hanno sovrapposto la loro Afrodite alla vedica “Urania”, un teonimo coniato apposta per mediare con i filistei il passaggio a una religione semita; un esempio può essere “Giove Cassio”, due nomi che hanno lo stesso significato che indicano la stessa divinità in latino e nella lingua dei cassiti.

Il toponimo “Ascalona”, presenta il suffisso “Asca”, caratteristico della lingua dei leponti, la quale era di origine gaelica, come la lingua dei pelasgi, i quali dopo aver attraversato il Nord Africa colonizzarono la Spagna e l’Europa. Nella terra dei leponti troviamo le città omonime di Ascalona: Ascona e Arona, il fiume Olona anticamente chiamato “Urona”, toponimi che per assonanza ci portano ad Urania, ed anche le numerose “Motta Rossa” presenti nel territorio mi fanno pensare alla “Arunachala”, e a una divinità vedica sconosciuta chiamata “Aruna”.

Urania o Aruna è una presunta divinità della quale non si trova traccia nelle tradizioni vediche, se non considerando la tradizione dell’ Arunachala, la quale potrebbe indicare la:” Casa di Aruna”, infatti la traduzione inversa di Motta Rossa mi dà: “Parvata Roja”, (Dizionario Gosbe), pertanto etimologicamente Arunachala, contiene la radice chala, che potrebbe essere una corruzione di “sala”, antico sinonimo di tempio o casa, pertanto dobbiamo pensare alle montagne rosse come alla casa o al “Tempio di Aruna”.

Etimologicamente Aruna sembra una corruzione per difetto di pronuncia del nome di Varuna, dio del firmamento e delle acque come Urania mentre il nome di Varuna viene comparato a quello di “Uruvannassil” dio dei Mitanni (persiani), e al greco Uranos.

Nel territorio dei liguri è attestato il culto di Belisma, moglie di Belanu, il dio della luce, si tratta di una dea del fuoco di origine proto celtica, poi divenuta Belisama per i celti.

Gli studiosi la paragonano a Minerva e Athena, ma essendo una dea del fuoco a mio parere è molto più affine ad Etna la dea del vulcano, con la differenza che la divinità superiore è il maschio Belanu. Gli studiosi la paragonano a Minerva e Athena, ma essendo una dea del fuoco a mio parere è molto più affine ad Etna la dea del vulcano, con la differenza che la divinità superiore è il maschio Belanu.

Teia era un’altra divinità primordiale come Afrodite, anch’essa figlia di “Urano”, ma nata da “Gea”, la Madre Terra. Teia essendo indicata come madre di “Helios”, il sole, “Selene”, la luna, ed “Eos”, l’aurora, appare evidente che il teonimo è una sovrapposizione greca al nome di una divinità anatolica pre ellenica, con ciò si può comparare il nome di Teia o “Theia”, come la indicava “Esiodo”, con quello di “Thera”, la dea del vulcano in epoca minoica.

Secondo la mitologia ellenica, marito e fratello di Teia era “Iperione”, colui che precede il sole e il titano della vigilanza e dell’osservanza etimologicamente il suo nome significava “Re Superiore”, da “iper e regio”, quindi possedeva gli stessi attributi di “Varuna”, e come Varuna nella tradizione induista, rivestiva il ruolo di divinità sconfitta; infatti Varuna era il garante dell’ordine cosmico e re degli “Asura”, i quali erano le divinità sconfitte dai “Deva” (induismo), e retrocessi a demoni, i “Naga”, uomini serpente, dei quali Varuna era il re.

Nella lotta tra le divinità elleniche Iperione è uno dei titani sconfitti, che si erano schierati al fianco di Crono, contro Zeus. Nella “Teogonia”, di Esiodo e nella “Titanomachia”, di Eumelo di Corinto, viene descritta la guerra che gli dei dell’Olimpo guidati da Zeus, condussero contro i loro padri, i titani condotti da Crono, la quale si sarebbe svolta tre centoventidue anni prima della guerra di Troia e durò 10 anni.

Pertanto possiamo ipotizzare che si sia combattuta all’incirca nel 1500 a.C., periodo in cui si verificò l’esplosione del Vulcano Thera, una catastrofe sicuramente preceduta da anni di terremoti ed eruzioni, fenomeni naturali, che in funzione delle credenze di allora, probabilmente offrirono agli oracoli il pretesto per parlare di guerra tra gli dei e dopo l’esplosione del vulcano, affermare la vittoria di Poseidone sui titani e la Grande

Infatti le leggende raccontano che la guerra fu vinta grazie ai “Centimani”, mostri dalle cento mani, i quali sovvertirono l’esito della battaglia scagliando una miriade di pietre contro i titani, fino a farli precipitare nel “Tartaro” (inferno), dove Poseidone li imprigionò con una porta di metallo fabbricata apposta, e poi sigillata.

Mi sembra evidente che le leggende facevano riferimento all’isola del vulcano Thera, sede del culto della Grande Dea Madre e delle antiche divinità vediche, la cui esplosione con relativo lancio di pietre, mise fine a un periodo di forte attività sismica, mentre lo sprofondamento di una parte dell’isola, venne attribuito all’opera di Poseidone che imprigionava i titani.

In realtà l’esplosione dell’isola Thera segnò l’inizio del regno di Poseidone, mentre Zeus divenne il re degli dei in qualità di fratello di Poseidone, solo sette secoli più tardi durante il medio evo ellenico, periodo del quale manca ogni testimonianza storica e letteraria.

In pratica la Titanomachia non è altro che un mito sincretico della tradizione vedica, con Poseidone come alter ego di Varuna signore delle acque, il quale detronizza la grande madre Thera (Danu nella tradizione vedica), e in seguito viene spodestato dal fratello Zeus, signore del tuono e del fulmine, alias Indra.

Nello stesso periodo gli “Arii”, invasero l’India ed imposero il culto delle divinità deva, a scapito degli asura, cancellando le più antiche tradizioni vediche, e secondo la tradizione, analogamente al Vulcano Thera, Siva si manifestò nella forma di una lunga colonna di fuoco, che trascendeva i confini della terra e del cielo, la quale apparve tra Brahma e Vishnù mentre si disputavano il potere tra gli dei, i quali non riuscendo a trovare l’inizio e la fine della colonna, riconobbero in Siva la superiorità divina; a quel punto la colonna di fuoco si tramutò nell’Arunachala, la casa di Siva, la nuova divinità suprema. Quindi un’altra eruzione vulcanica usata come indice di affermazione di una nuova casta divina.

Una testimonianza della sovrapposizione di un culto semita a uno pelasgico avvenuta in Grecia, ce la offre la mitologia, secondo la quale: “Elleno”, il capostipite degli elleni, sposa la ninfa delle acque dei tessali, “Orseide”, la quale altri non è che una forma sincretica di “Artios”, una delle matrone delle acque dei celti, l’Orsa che Domina la Frana e l’Alluvione”; adottata dai nuovi arrivati per convertire la popolazione autoctona alla religione della nuova casta dominante. Dal matrimonio tra il siriano Elleno e la pelasgica Orseide, nasceranno: Doro Eolo e Xuto, i tre capostipiti delle popolazioni del Peloponneso.

Sempre secondo la mitologia ellenica, Elleno era figlio di Deucalione, unico sopravissuto al grande dilavamento, assieme alla moglie Pirra, ma alcuni autori ne attribuiscono la paternità a Zeus; a sua volta Deucalione era figlio del titano Prometeo, il quale a sua volta, su incarico di Zeus, aveva forgiato l’uomo dal fango, e lo aveva animato per mezzo del fuoco, ma Zeus vedendo che gli uomini diventavano sempre più avidi e superbi, decise di sterminarli. Prometeo allora informò Deucalione sulla volontà di Zeus, e invitò il figlio a costruirsi un’arca allo scopo di mettersi in salvo.

In seguito Prometeo vedendo che senza il fuoco gli umani morivano, rubò il fuoco divino, per donarlo agli uomini, provocando nuovamente l’ira di Zeus che lo incatenò a una rupe sul monte El’Brus (la casa di El il creatore del mondo) mandando ogni giorno un’aquila a mangiarli il fegato, che gli ricresceva durante la notte.

Ovviamente tutto ciò è frutto della fantasia degli autori ellenici, in quanto il culto di Zeus si diffuse in Grecia durante l’età del ferro, quando il culto di Cassio, il suo alter ego persiano era già sbarcato in Albania e in Italia sette secoli prima.

Rino Sommaruga

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21 risposte a “Gli Elleni”

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