La Trinacria

Quella che i romani chiamarono “Trinacria” deve al suo nome al fatto che all’inizio dell’età del ferro il suo territorio era diviso tra tre popolazioni, i “Siculi”, i “Sicani” e gli “Elimi”, e in quanto in origine il termine acro era un sinonimo di territorio, e che solo in seguito diventerà una unità di misura, quindi con il toponimo Trinacria si riassumeva la divisione territoriale dell’isola in tre parti o acri.

Ma in realtà, il nome e il simbolo della Trinacria avrebbero un significato diverso da quello inteso dai romani, e farebbero riferimento a una dea delle stagioni primordiale, quando gli umani dividevano il ciclo annuale solo in tre stagioni, la stagione della semina, la stagione del raccolto e la stagione della rigenerazione, che comprendeva Autunno e inverno.

            In quanto il nome Trinacria contiene la radice greca “Akros”, sinonimo di sommo, supremo, quindi un aggettivo che indica una divinità primitiva della terra dal triplice aspetto come poteva essere Ecate con i suoi tre volti da, Bambina, Donna, Vecchia, i quali simboleggiavano il passare del tempo come le sue tre figlie, le quali a turno passavano tra i campi per realizzare il dono divino della natura.

Poi quando l’uomo imparò a seminare anche in autunno Ecate venne accantonata, in favore di Anna Perenna” per gli italici

Quindi la radice Akros che per i primitivi era un sinonimo di sacro, per i romani cambiò significato, diventando sinonimo di fondo: “agro”, e unità di misura: “acro”.

 Tutto ciò si evidenzia nel simbolo della Trinacria dove appare un viso di donna adornato dai frutti della terra e da serpenti, il quale non fa altro che richiamare le sembianze di una Grande Madre Terra, in quanto i serpenti erano sacri alla dea, fino a diventare il suo simbolo identificativo.

Non a caso la Trinacria o Triscele, (come viene più comunemente chiamata), senza il volto femminile è anche il simbolo dell’isola di Man, la quale anticamente era chiamata Mona, un epiteto comunemente rivolto alla Grande Madre e ai luoghi che la simboleggiavano.

La presenza dei serpenti nel simbolo della Trinacria è un retaggio della preistoria, perché secondo la tradizione la dea si era trasformata in serpente, per potersi accoppiare con Ofiuco, il serpente cosmico, allo scopo di generare la pioggia, per rendere fertile la terra, mentre il Triscele dell’isola di Man è una forma maschilizzata di origine medioevale, ma che prende spunto dalle usanze preistoriche.

Le tre gambe invece raffigurano le 3 stagioni che passano; infatti, bisogna considerare che l’anno sarebbe stato suddiviso in 4 stagioni solo in epoca ellenica (IV sec. A.C.), mentre per le società agricole primitive le stagioni erano solo 3, il tempo della semina, il tempo del raccolto e il tempo della rigenerazione.

Faceva eccezione l’Egitto, in quanto potendo realizzare due raccolti l’anno, aveva un periodo della rigenerazione più corto e quindi una stagione estiva in più.

Un esempio eclatante sull’origine del simbolo della Trinacria lo troviamo in Kazakistan, nella regione del Turgai, toponimo derivato dall’omonimo fiume che l’attraversa, dove i satelliti della Nasa hanno fotografato una collina dalla forma strana, poi risultata artificiale e datata VIII secolo a.C.

Come si vede nelle immagini sottostanti, La collina è formata da 3 raggi alla cui estremità appaiono delle figure che potrebbero simboleggiare dei serpenti, pertanto trovandoci nella culla della cultura ariana si può affermare con certezza che si trattava di un santuario sacro a Ecate, una divinità adorata dai traci e portata da loro in Italia il cui alter ego potrebbe essere la sumera Inanna.

Regione Turgai Kazakistan Fotografia Nasa pubblicata dalla rivista Focus

La Trinacria. Si tratta di una ricostruzione postuma del simbolo ritrovato su una moneta Siracusana
Il Triscele stemma dell’isola di Man, anticamente chiamata Mona in onore della Grande Madre, poi maschilizzato assieme al toponimo in onore Manannan mac Lir (figlio del mare). Una divinità marina e del tempo figlio della Grande Madre. Un provabile alter ego di Varuna

Purtroppo degli ariani nord orientali, storicamente meglio conosciuti come “sciti”, “sarmati” o “Alani” la letteratura classica ci ha tramandato poco di loro, se non che fossero: alti, biondi ed estremamente selvaggi, ma non hanno attestato nessuna notizia sulle loro usanze e divinità, e gli unici reperti archeologici ci portano alla cultura di di Samara sito archeologico tra i più antichi ritrovato alla foce dell’omonimo fiume nel Volga quindi, è grazie alla grande affinità linguistica che li lega alla nostra cultura e per mezzo della lingua sanscrita e delle tradizioni vediche, che possiamo tentare d’identificare la loro origine, partendo proprio dal loro nome etnico “Ariani”, il quale avrebbe il significato di figli di “Arya”.

In oltre conoscendo alcune tradizioni della cultura aryana, mi viene spontaneo individuare nel nome del fiume Samara, il teonimo di una divintà delle acque e accostarla per esempio alla persiana Danu anche lei matrona di alcuni dei fiumi più importanti d’Europa

Nella lingua sanscrita Arya avrebbe il significato di “Natura”, ma anche “Nobile”, o “Signora”, perchè nella tradizione vedica la natura era la Grande Madre.

Al teonimo Aryanna ci si arriva aggiungendo al prefisso Arya la radice sanscrita “Ann”, sinonimo di cibo, per cui Aryanna diventa: “La Signora Del Cibo”, per meglio dire: “La Dea Che nutre.

Quindi possiamo ritenere che la cultura indoeuropea si sia diffusa in Europa ed Asia partendo da un’unica divinità chiamata Anna dagli italici, ma anche con nomi tribali come potevano essere Danu per i persiani e Samara per i galli, Cerere peri romani, Demetra per i greci ecc.

Da ciò possiamo supporre che Aryanna fosse il nome della Grande Madre dei caucasici della steppa, mentre Anna Perenna era il nome usato dai caucasici mediterranei.

Ma allo stesso modo possiamo parlare dell’Aryanna di Creta e del Minotauro, in quanto il mito potrebbe trarre origine dalla tradizione secondo la quale la Grande Madre aveva come amante il Toro, mentre dopo l’uccisione del Minotauro, Aryanna si sposa con un altro dio della natura, Dionisio per i greci, una divinità pre olimpica, che con la maschilizzazione del culto, avvenuta in epoca micenea (Teseo era un miceneo), avrebbe sostituito Aryanna.

Secondo i vari culti solari persiani, Mitra o Mazda il dio del sole, uccide il Toro e diventa l’amante della Grande Madre.

Anche Le “erinni” le tre furie, con i serpenti al posto dei capelli, che perseguitano Oreste colpevole di aver ucciso la madre “Clitemnestra”, sembrano la conseguenza dello sconvolgimento teologico che ha sottomesso le Grandi Madri al potere degli dei guerrieri, che ha portato alla loro demonizzazione.

Le erinni oltre all’etimologia del nome che sembra indicare un’origine ariana, nella mitologia greca sono figlie di Urano nate dal suo sangue quando fu evirato da Crono. Da ricordare che nella mitologia ellenica Urano è il primo figlio e amante della Grande Madre “Gea”, quindi nella tradizione matriarcale Urano era il Serpentario, cioè Varuna.

Sull’origine delle popolazioni primitive si può avere una certezza nei confronti dei siculi i quali popolavano il settore occidentale dell’isola, in quanto come abbiamo già visto il vulcano “Etna” ha preso il nome dalla Grande Dea Madre dei “palaici”, popolo anatolico migrato in Sicilia alla fine del secondo millennio, per sfuggire alla carestia e all’invasione dei micenei.

I sicani invece secondo gli storici antichi, sarebbero la popolazione primitiva dell’isola, ma di origine iberica, mentre gli storici moderni li confondono con gli iberi dell’età del ferro, la confusione nasce dal fatto che nella storiografia moderna la migrazione degli iberi caucasici continua a non essere considerata, quando invece bisogna ritenere che la Sicilia fu colonizzata dagli iberi prima della Spagna.

L’origine caucasica dei sicani è dimostrata dal nome della loro città più importante Henna, che ancora oggi è il capoluogo di provincia più alto d’Europa, Henna era sicuramente la loro Grande Dea Madre, un teonimo continuato dall’italico “Anna Perenna”.

Il teonimo Anna Perenna riassume il ciclo naturale della “Grande Madre Terra” (Thera per i minoici), Anna indicava “il ciclo delle stagioni”, Perenna “il ripetersi dei cicli”, da quì la tradizione paleolitica dell’abete bianco sacro alla Madre Terra e simbolo dell’anno nuovo che nasce.

Con l’affermazione della casta guerriera il teonimo, sarà maschilizzato in Anno, mentre la tradizione dell’abete di capo d’anno, il simbolo più importante della tradizione pagana, con il tempo sarà accettata anche dal cristianesimo, nonostante il suo originale radicalismo biblico, che ha sempre osteggiato i simboli aryani.

Secondo gli storici antichi, gli elimi sarebbero giunti in Sicilia cacciati dall’Italia dagli “enotri”, i quali abitavano la Basilicata, la Calabria e il Cilento.

Gli Elimi abitavano la Sicilia occidentale ma sono ancora più sconosciuti, toponimi come Lerici, Segesta (Sestri Levante ed Entella (fiume di Chiavari) supportano l’ipotesi di una origine ligure, una affinità culturale indiscutibile, ma l’etnonimo “Elimi”, indica la dea El”, quindi un altro popolo di origine caucasica, ma più antico dei liguri.       

Etimologicamente si può comparare l’etnonimo degli elimi con quello degli elidi, un popolo che abitava il nord ionico del Peloponneso, il quale pur avendo inventato le olimpiadi, era considerato il più antico e il più barbaro tra i popoli greci.

Le sue città più importanti furono Elis, Olimpia e Pisa, quindi questo ricorrere di toponimi ed etnonimi, mi porta all’ipotesi di un popolo caucasico, i famosi pelasgi, che in seguito all’arrivo dei micenei (semiti siriani), migrarono dal Peloponneso verso l’Italia.

Nella mitologia il fondatore della Pisa greca ed inventore delle olimpiadi si chiamava Enomao, il quale aveva una figlia chiamata Ippodamia che aveva promesso in sposa a chi lo avesse battuto nella corsa con i cavalli.

Enomao era un semidio figlio di Ares, e disponeva di cavalli magici regalatigli dal padre, con i quali era imbattibile, l’impresa di batterlo riuscì (con la complicità di Ippodamia), a Pelope.

Dai nomi dei personaggi possiamo concludere che si trattava di divinità, appartenenti a una cultura di allevatori di cavalli come i tessali, poi conservati nella cultura ellenica come semidei.

Pelope figlio della dea Dione, ha un nome composto dal greco “Pilus”, sinonimo appunto di pelo al quale possiamo aggiungere il tedesco antico “Walap”, sinonimo di galoppare, quindi Pelope doveva essere un individuo capace di cavalcare a pelo, come gli iapigi della Puglia e i centauri della mitologia greca, mentre “Ippodamia”, era sicuramente la continuazione di un culto pre ellenico legato alla celtica Epona, matrona delle acque e protettrice di cavalli e cavalieri; infatti il prefisso greco “Ippo”, è il sinonimo del celtico “Epo”, mentre damia sarebbe un sinonimo di dea; quindi ippodamia aveva il significato di: “dea dei cavalli”.

Enomao in particolare, è un nome il cui prefisso ci riporta agli enotri e a Eno la matrona che trasformava l’acqua in vino, mentre il suo significato potrebbe essere “Dimora di Eno”, in quanto la radice “mao” deriverebbe dall’arabo “mahùn”, sinonimo del sanscrito “Wasu” (vaso), che indicava la dimora di un dio, ma non si può escludere il celtico “mag” sinonimo di grande, quindi possiamo supporre che Enomao era una divinità pre ellenica, e probabilmente un dio dei cavalli, il cui nome è stato tramandato in forma corrotta, Enomao invece di “Epomao”. Non è da escludere che anche il nome della figlia Ippodamia, fosse la forma greca con la quale gli elleni indicavano Epona, la matrona di cavalli e cavalieri dei celti.

Un’altra matrona delle acque di origine celtica, che ha lasciato traccia di sé nella cultura greca è stata “Artios”, l’orsa che domina la frana e l’alluvione, che nella mitologia greca diventa Orseide una “naiade”, ninfa delle acque della Tessaglia, quindi una divinità della tradizione pre ellenica, che sposerà Elleno un altro semidio e diventerà madre di Doro Eolo e Xuto, i tre capostipiti delle popolazioni del Peloponneso.

Il matrimonio tra due divinità appartenenti a culture diverse, era lo strumento più semplice, per indurre la popolazione autoctona, ad accettare la nuova casta dominante.

Gli storici ritengono che il toponimo Barcellona Pozzo di Gotto sia stato attribuito alla località durante l’occupazione spagnola, un’ipotesi molto credibile se non fosse che il prefisso “Bar” è caratteristico delle località dove sono presenti delle sorgenti sacre al dio delle acque e della salute Bormanus, chiamato anche Barman e nel territorio di Barcellona, le sorgenti non mancano.

Vi si trovano anche le acque termali, basta citare le frazioni Acqua Calda o Calderà, poste sulle propaggini dei monti Peloritani, una formazione montuosa dove sono presenti rocce di origine vulcanica.

Culturalmente è importante anche la frazione di Acquaficarra, un toponimo derivante da una sorgente situata nei pressi di un fico.

Nella tradizione romana era sacro il “Fico Ruminalis”, votato alla dea “Rumina”, protettrice delle madri che allattavano; la tradizione nasce dal fatto che la lupa avrebbe allattato Remo e Romolo sotto a un fico, in riva al Tevere.

Invece un’altra tradizione a mio parere più credibile, racconta che il fico era nei pressi del Lupercale, una grotta sacra, dove i pastori italici celebravano riti propiziatori per ingraziarsi il dio Fauno protettore delle greggi, il cui animale totemico era la Lupa.

Fauno era una divinità italica tra le più antiche, e la diffusione del suo culto è testimoniata anche dal toponimo “Colle Fauniera” situato nella terra dei liguri cozi, e veniva identificato con forme umane ma con piedi e corna da capra.

Il suo aspetto ed il fatto che i Lupercali si celebrassero a febbraio con la festa della purificazione lo identificano con il celtico Cernunnos.

Quindi il fico rientrava nel sincretismo romano della tradizione greca legata alla “Melissa”, un albero sacro presso il quale i bambini venivano abbandonati, affidandoli alla protezione della dea Melissa, che nella tradizione romana era Rumina, ovviamente i sacerdoti li raccoglievano e si occupavano di loro, quindi un’usanza continuata anche nella tradizione cristiana, con la ruota posta agli ingressi di chiese e conventi.

Pertanto nella realtà Faustolo era un sacerdote del Lupercale, mentre la lupa che ha allattato i gemelli era Acca, che come dice il nome, si trattava una medium muta, usata dai sacerdoti per comunicare con la dea, e per questo chiamata Lupa, la quale con le altre femmine del tempio si occupava dei bambini più piccoli.

Ma Pozzo di Gotto è un toponimo che ci porta a tradizioni ancora più antiche, infatti Gotto non è altro che la corruzione di Grotto, sinonimo pre italico di Grotta, e il riferimento locale è alla Grotta di santa Venera, una martire cristiana che sarebbe nata in Gallia, ma secondo alcuni ad Acireale, nel 100 a.C., ipotesi più credibile se si considera che a quel tempo in Gallia il cristianesimo era quasi sconosciuto.

Tra l’altro sull’esistenza di questa martire esistono solo tracce legate al culto, ma nessuna testimonianza della sua esistenza.

All’interno della grotta sono presenti tracce di un dipinto di epoca bizantina, che raffigurava santa Venera, quindi la grotta è stata usata dai bizantini come luogo di culto, e sicuramente anche in precedenza vi si adoravano divinità pagane come Venere e Afrodite, precedute a loro volta dal culto della Lupa o dalla tradizione dei Pozzi Sacri, caratteristici della Sardegna e della cultura ligure.

Interessante è anche lo stemma del comune il quale sembra simboleggiare l’unione di due comunità i cui simboli sembrano rievocare l’orine antica dei due toponimi; infatti nel primo campo appare un pozzo sormontato da un’aquila con le ali spiegate, il quale simboleggerebbe una località fondata dai romani attorno a un pozzo mentre nel secondo campo appare un uomo nudo e barbuto, seduto sulla riva di un ruscello che versa nel rigagnolo l’acqua contenuta in un orcio, mentre alle sue spalle si notano due colline.

Questo campo sembra raffigurare una sorgente sacra a Bormanus, le cui acque scendendo dai monti affluiscono in un corso più importante, quindi l’uomo barbuto sarebbe Bormanus, il quale darebbe il nome a Barcellona.

Infine nel campo inferiore appaiono due mani che si stringono, con maniche una rossa e l’altra blu, un chiaro simbolo di due località che si congiungono in un’unica amministrazione.

Tra i torrenti del luogo si può citare l’Idra, idronomo diffuso in tutta Italia forse originato dal messapico Odra, sinonimo di acqua che potrebbe essere il nome di una divinità fluviale pre ellenica, i messapi erano gli antichi messeni (minoici) migrati in italia durante l’età del Bronzo, quando il Peloponneso divenne meta dei micenei, e a loro si deve la fondazione della primitiva di Messina, come testimonia il nome celtico “Briga”, sinonimo di altura, il quale fa riferimento a un torrente e ai due quartieri che attraversa.

Da citare anche il Longano, torrente che prende il nome da un’antica città “Longane”, della quale si sono perse le tracce. Le sorgenti del Longano sono ai piedi del colle Torace una collina di 400 m s.l.m. in cima alla quale è situata la località di Castroreale, dalla quale si domina tutta la spianata marina Di Barcellona Pozzo di Goto, e in particolare il corso del torrente Patrì, il quale scendendo dai monti Peloritani, anticamente costituiva una via di transito che permetteva di attraversare la catena montuosa e arrivare sulla costa Ionica.

Oggi il torrente Patrì chiamato anche Termini, funge da confine ovest tra Barcellona Pozzo di Goto e il comune di Terme Vigliatore, il quale è composto da due località, dove sono presenti delle sorgenti termali di acqua sulfurea, tra le quali spicca la “Fonte di Venere”, anticamente conosciuta dai romani come: “Fons Veneris”.

In realtà il Patrì anticamente era chiamato “Longanos”, e lungo le sue rive nel 296 a.C., tra i siracusani comandati da Gerone II e i mamertini, che allora avevano conquistato Messina, si è combattuta una battaglia chiamata “Del Longanos”, che vide vittoriosi i siracusani.

Qui bisogna sottolineare che il Longanos (Patrì), scendendo da monti Peloritani è alimentato dalla Fiumara di Santa Venera, pertanto lo stemma di Barcellona Pozzo di Goto, con la divinità che svuota l’orcio nel fiume si riferisce al Patrì, e non al torrente Longano che divide Barcellona da Pozzo di Goto.

Questa confusione dovrebbe dipendere dal fatto che si è persa traccia dell’antica Longane, infatti in tutto il territorio di Barcellona Pozzo di Goto, Terme Vigliatore, Rodì, Milici e Pietre Rosse, si sono trovate tracce di insediamenti risalenti all’età del Bronzo e del Ferro, ma in nessuno di questi si sono avute prove che erano la storica Longane. Quindi considerando che il Patrì lambisce il lato ovest del colle Torace, il quale occupa una posizione dominante su tutta la spianata e il passaggio tra i monti peloritani, sono convinto che la mitica Longane sia l’attuale Castroreale.

Infatti il toponimo Castroreale anche se di origine romana, era particolarmente in uso durante l’ epoca Medioevale, che indicava un luogo fortificato, quindi è possibile che in quel periodo Castroreale sia stata costruita sopra i ruderi dell’antica Longane portando così la confusione sulla locazione di Longane e sui nomi dei fiumi. In oltre bisogna considerare che Castroreale come Barcellona Pozzo di Goto è posta sulla riva destra del Patrì, quindi le altre località sopra citate essendo poste sulla riva sinistra, vanno considerate appartenenti a un altro contesto storico, come quello della città di Tindari.

Il territorio di Barcellona Pozzo di Gotto confina a est con il fiume Mela e il promontorio sul quale sorge la città di Milazzo; due toponimi che ci riportano a coloni provenienti dalla città anatolica di Mileto, Millawanda o Milawata per gli ittiti, e soprattutto alla città ittita “Melid”, Melitene per i romani, anche queste erano popolazioni pre elleniche in oltre nella valle del fiume Niceto troviamo le: “Rocche Milia”, una linea rocciosa che delimita la valle dall’altipiano dove è situata Saponara, mentre sul versante ionico dei monti Peloritani troviamo san Pietro Mili, santa Maria Mili e Mili san Marco, mentre lungo il corso del Patrì troviamo la località di Milici, che con la vicina Rodì tradisce l’origine anatolica-caucasoide dei toponimi del territorio.

In Sicilia tra i toponimi che formati con il prefisso “Mil” troviamo anche Sant’Agata di Militello (Messina) e Militello val di Noto (Catania). Nella lingua dei celti (i pre ellenici), mil era il nome del miglio, “milam” in sanscrito uno dei primi cereali ad essere coltivato, da considerare anche il Tritum “Militinae”, una varietà di frumento, quindi dobbiamo supporre che i toponimi con il prefisso “mil” facessero riferimento a una divinità dei cereali, non a caso il fiume Niceto prende il nome dalla ninfa “Nicea”, Nikea per i greci, la quale era figlia di “Sangarius” una divinità fluviale (fiume Sangro), e di Cibele, la Grande Madre di origine anatolica, che i greci hanno identificato con “Rea” figlia di Urano (il cielo) e Gea (la terra), dalla quale sarebbe nata “Demetra”, dea del grano e dell’agricoltura, che gli italici adoreranno con il nome di “Damatira” e i romani come “Cerere” quindi Mil poteva essere una divinità dei cereali primitiva di origine anatolica, poi sostituita con Cerere.

Da ricordare il vulcano persiano Damavand dal quale potrebbe derivare il nnome di Demetra, la quale era invocata anche con il nome di “Malophoros”, “Colei che da mele” o “colei che da greggi”, in realtà potrebbe trattarsi di un errore di traduzione o interpretazione in quanto potrebbe significare: “Colei che porta il miglio” per questo le sue sacerdotesse erano chiamate “Melisse”, quindi Demetra sarebbe il sincretismo ellenico di una divinità anatolica protettrice dell’agricoltura Il legame tra i toponimi del territorio e una divinità dell’agricoltura è confermata anche dal nome dell’affluente più importante del Niceto, il Bagheria un idronomo composto da due radici, molto antiche, già in uso nel proto indoeuropeo e forse nelle parlate del paleolitico, infatti l’idronomo sarebbe originato dalla radice “Bhago”, che per i primitivi aveva il significato di “mangiare”, mentre “Rià” significava “acqua che scorre”, (Andrè Martinet: (L’Indoeuropeo lingue popoli e culture).

In epoca primordiale con Bhago si indicavano gli alberi dai quali si poteva trarre nutrimento, in seguito i nomi degli alberi si differenziarono allo scopo di indicare i frutti più saporiti, tanto che: bhago poi corrotto in “fago”, rimase a indicare il faggio, le ghiande del quale erano frantumate dagli antichi per ricavare farina da impastare, oppure venivano bollite.

Da fago sono derivati nomi di alimenti come fagioli, farro, faggio, pertanto la valle del Niceto grazie all’abbondanza di acqua è sempre stata particolarmente fertile, tanto che nell’antichità era ricoperta da una rigogliosa foresta, nella quale evidentemente primeggiava il faggio un albero che in Grecia non cresceva, quindi era sconosciuto ai colonizzatori ellenici. Anche la valle del Niceto è dominata da una collina sulla quale si erge la località di Monforte san Giorgio, l’ennesimo toponimo medioevale ma che con l’aggiunta del nome di un santo guerriero tradisce la sostituzione di un antico toponimo costituito da un teonimo pagano.

Da citare anche l’origine di Caccamo. Situata su uno sperone di roccia che si affaccia sulla valle san Leonardo Caccamo ha tutte le caratteristiche per essere una città fondata dai cartaginesi, già a partire dal toponimo, il quale secondo molti sarebbe la continuazione del cartaginese “Caccabe”, sinonimo di “Testa di Cavallo”, infatti se osservato dalla valle, lo sperone di roccia potrebbe sembrare una testa di cavallo.

            In oltre nella toponomastica del luogo, tra i vari toponimi che fanno riferimento ai Cartaginesi, probabilmente inseriti nella toponomastica della città con la certezza dell’origine, appare una via “Birsa”, nome del quartiere primitivo di Cartagine, un toponimo che ritroviamo in alcune città fondate dai cartaginesi.

La via Birsa, essendo un vicolo stretto e lungo che collega uno dei punti più alti dello sperone con il duomo di san Giorgio, oltre ad essere sicuramente la via più antica di Caccamo, doveva collegare il quartiere abitato dai signori cartaginesi, chiamato Birsa, con il villaggio abitato dalle famiglie dei mercenari e dei servi.

Infatti i cartaginesi erano una casta di mercanti, che per le guerre si serviva dei mercenari, mentre gli indigeni si occupavano delle altre incombenze, pertanto è certo che nel villaggio erano presenti due comunità.

            Anche il duomo di san Giorgio, costruito dai normanni attorno all’anno mille, ha sicuramente preso il posto di un tempio dedicato a una divinità pagana, in quanto san Giorgio era un santo guerriero uccisore del drago, e per questo molto apprezzato anche dai pagani, per il quale accettavano di convertirsi.

Rino Sommaruga

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25 risposte a “La Trinacria”

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