La Bretagna E Le Invasioni dei Gaelici

I primi europoidi ad abitare le isole britanniche sono stati i pitti, un popolo misterioso del quale si è perso traccia, e sono rimasti solo pochi ricordi spesso incoerenti con le evidenze storiche e archeologiche.       

Roberto D’Amico in “Il Segreto dei Pitti”, cita alcune tradizioni medioevali sui pitti, per esempio: nell’anno 731 d.C. in “Storia della Chiesa” (Britannica), il venerabile Beda racconta che i pitti, giunti in Irlanda dalla lontana Scizia, ottennero dagli Scotti della terra al nord della Britannia, ma siccome i Pitti erano senza donne, gli Scotti offrirono loro anche le figlie.


      Nel secolo XII, lo storico Islandese Snorri Sturlasson in “Historia Norvegiae”, descrive i pitti come dei pigmei che vagavano di mattina e di sera, mentre a mezzogiorno si nascondevano dentro a buche scavate nel terreno.

Nel De Bello Gallico, Giulio Cesare raccontava che i pitti avevano l’abitudine di dipingersi il corpo; Cassio Dione ed Erodiano, due storici greci del terzo secolo d.C., parlano dei caledoni, i pitti che abitavano il nord della Gran Bretagna, come di gente insensibile al freddo e alla fame, che girava nuda e si immergeva frequentemente nell’acqua, rimanendovi anche per giorni interi, non usavano corazze o elmi, non conoscevano l’oro, il ferro era il loro simbolo di ricchezza, con il quale fabbricavano le “Torque”, ornamenti che portavano al collo (i galli le portavano d’oro).

Tacito invece parla degli harii, una popolazione germanica di origine proto finnica, spesso confusa con gli ariani indoeuropei, i quali avevano l’abitudine di dipingersi il corpo di nero e di attaccare il nemico di notte.

La tradizione popolare vuole che si coprissero con una pelle di orso, animale sacro per le popolazioni proto finniche; ancora oggi simbolo della Russia, e che vivessero in caverne, si cita anche la ferocia di questa gente, che attaccava tutti, creando problemi pure ai vichinghi.

Altre tradizioni greche ed irlandesi vogliono, che i pitti, originari della Scizia, siano emigrati dalla Tracia e dopo aver circumnavigato la Spagna siano giunti in Irlanda e nel Galles, ma come abbiamo già visto i pitti erano la popolazione autoctona dell’irlanda, mentre gli immigrati dalla Spagna erano gli iberi, conosciuti nelle 2 Bretagne anche come “Milesi.

I galli provenienti dalla Scizia invece venivano definiti: alti, biondi, occhi azzurri e bellissimi, praticamente il prototipo del modello ariano, quindi affermare che i Pitti o i finnici fossero i galli è impossibile, in quanto esistono tracce culturali che legano le tradizioni galliche alla civiltà di Samara, che l’archeologa e linguista lituana, Marija Gimbutas, indicò come la patria della lingua indoeuropea.

La civiltà di Samara è una cultura molto antica, che trae il nome dal fiume Samara, alla cui confluenza nel Volga, sorgeva l’antica città. 

L’idronimo Samara è arrivato in Francia con i galli ambiani, i quali hanno chiamato Samara il fiume francese Somme, e Samarabriva (Ponte sulla Samara) la loro capitale, oggi Amiens.

       Il toponimo Samara è arrivato anche in Italia portato sempre dai galli, i quali hanno fondato l’italiana Samarate, “Samarà” in dialetto, cittadina situata in riva all’Arno di Gallarate.
        A conferma dell’esistenza di una divinità fluviale indoeuropea chiamata Samara si può citare anche una coeva civiltà di Samarra, situata nella Mesopotamia medio alta, lungo la riva est del Tigri.

La Presenza di ceramica cardiale tra le pietre dei santuari megalitici inglesi, mi fa pensare che un piccolo gruppo di agricoltori caucasici provenienti dalla Francia abbiano acculturato e avviato all’agricoltura i primi abitanti delle isole Britanniche i così detti Pitti o Britti da cui il toponimo Britannia, ma non si può escludere anche l’arrivo dei pastori capsiani.

Ciò sembra essere simboleggiato dal sito archeologico di Avebury, datato 5000 a.C., il quale potrebbe simboleggiare la fusione di due culture, un’ipotesi che trarrebbe conferma dal mito legato al culto di Ethniu, una Grande Madre, che avrebbe favorito la fusione dei pitti (o Fomoriani) con i figli di Mil, e in seguito con i Tuata de Danann.

Ciò sembra avvalorato dal fatto che il teonimo Ethniu, è etimologicamente affine al greco “Èthnos”, sinonimo di etnia, quindi ritengo sicura la teoria che si trattava di una divinità multietnica, come il norico Teutatis.

Gli esami antropologici dei resti umani ritrovati nei santuari, e risalenti a quel tempo, ci dicono che i pitti erano una popolazione dolicocefala, quindi, considerando che gli appartenenti al ceppo genetico “R”, in origine erano brachicefali, posso dedurre che si trattava degli scandinavi, i quali sono portatori di un ceppo genetico più antico, classificato con la sigla “I”, in pratica si trattava dei primi cacciatori raccoglitori neolitici che hanno colonizzato il nord Europa.

La successiva costruzione di Stonehenge, si rese necessaria anche come strumento per poter seguire il corso della natura e determinare con precisione il momento della semina.

Stupisce il fatto che in epoche primordiali la gente riuscisse a occuparsi di opere faraoniche, ma bisogna considerare che la società agricola primitiva, era fondata sulla collettività, tutto apparteneva alla dea Natura, per cui sotto la direzione del sacerdote, tutti dovevano contribuire con il lavoro e tutti partecipavano alla divisione dei frutti.

Una condizione che permetteva l’utilizzo della massa lavoro in modo flessibile, secondo i tempi dettati dalla natura, quindi esauriti i lavori nei campi, c’era il tempo per dedicarsi alla propria casa, orto e pollaio, ai lavori pubblici come strade e canali per l’irrigazione, e il tempo da dedicare al tempio.

Nel dialetto lombardo è sopravissuto il sostantivo di origine persiana: “Magütt”, il quale in origine indicava i braccianti che lavoravano nei campi, ed è composto da: “Magus”, sinonimo di campo, e, “üt” o “aüt”, equivalente di aiuto.

Il termine è ancora utilizzato nei cantieri edili per indicare la manovalanza, che come da tradizione millenaria, proviene dall’agricoltura.

Un altro etimo antico sopravissuto in Lombardia al passare del tempo è il sostantivo “Magana”, il quale contenendo la radice “gana” indicava un campo sacro alla dea, e quindi un fondo appartenente al demanio pubblico.

Con l’inizio del II° millennio a.C., in Irlanda e poi nella Grande Britannia arrivano gli Iberi, una popolazione di origine caucasica come i capsiani e gli appartenenti alla cultura della ceramica cardiale, che dopo aver colonizzato il nord Africa e la Spagna erano riusciti a penetrare nelle isole britanniche e in Francia.

A quei tempi gli iberi si definivano Milesi o figli di Mil, però erroneamente il venerabile “Beda” nella sua “Istoria ecclesiastica gentis Anglorum”, con la quale ha tentato di raccogliere le più antiche tradizioni celtiche, tramandate di bocca in bocca dai bardi, era convinto che Mil sia stato il re che ha condotto i Milesi alla conquista dell’Iberia, quando in realtà Mil era il nome di una Grande Madre della natura, chiamata come nei tempi più antichi, i caucasici chiamavano il miglio: “Mil”, il quale fu uno dei primi cereali ad essere coltivato e quindi divinizzato nelle figura della Grande Madre, e pertanto gli iberi si identificavano come figli di Mil; da notare la simbiosi di Mil con l’italica “Cerere”, la dea dei cereali.

Un esempio di queste divinizzazioni la troviamo anche nel Nord America, dove il Manitoba, uno dei cereali più pregiati è stato divinizzato dagli Indiani come il Grande Padre Manitù.

Tracce del passaggio dei milesi le possiamo trovare anche nella toponomastica della Sicilia, in particolare la città di Milazzo, capoluogo di una valle fertilissima dove abbondano i toponimi con il prefisso Mil, segno evidente di un’antica adorazione di una divinità che rispondeva a questo nome.

Infatti, Milazzo fu fondata dagli abitanti di Mileto, una potenza Anatolica che gli ittiti chiamavano “Millawanda”, vale a dire: “Regina Mil”.

Ma in tutto questo il venerabile Beda e la mitologia irlandese si scontrano con una forte contraddizione in quanto associano l’arrivo degli iberi alla guerra tra le divinità Fomori (le divinità dei pitti), e i nuovi arrivati i “Tuatha de Danann”, (Figli di Danu) le divinità dei danai, vinta da questi ultimi, quando in realtà all’arrivo dei danai pitti ed iberi si erano già integrati.

Il cambiamento religioso è confermato anche dalle più recenti indagini strumentali sulle pietre di Stonehenge, le quali hanno accertato che il monumento è stato edificato e modificato in due epoche diverse, quindi adattati alle esigenze di una nuova religione.

Comunque bisogna rimarcare l’identità culturale e genetica dei figli di Mil con i figli di Danu, mentre in realtà i danai arrivano nella grande Britannia solo tra l’VIII e il VI secolo a.C., e sono i portatori della cultura del ferro (Halstat), i quali si scontrano con i pitti e riescono a conquistare solo la parte orientale dell’isola dove fondano il regno di Alba.

Nel IV secolo a.C., i galli, forse alleati con i danai (Scoti), hanno maggior fortuna conquistano il Galles e spingono i pitti all’estremo nord, in quella che i romani chiameranno Caledonia.

Di ciò ne traggono vantaggio anche gli scoti, i quali estendono il regno di Alba fino alle rive del fiume Forth dove in seguito, l’imperatore Antonino contando sulla loro alleanza costruirà un vallo.

Ma che perderanno con il ritiro dei romani e riconquisteranno nel Medio Evo sotto la guida di Kennet Mach Alpin.

Quindi il passaggio di Stonehenge e Avebury ai Tuatha de Danan sarebbe avvenuto solo con l’arrivo dei galli.

Le divinità Fomori potevano essere gli Æsir della tradizione scandinava ma di origine indiana, ma forse erano il frutto di un compromesso tra i sacerdoti pitti e quelli iberi, mentre i Tuatha de Danann erano gli Asura originari della valle dell’Indo (Pachistan), quindi originate da una cultura comune differenziate dal tempo e dalla lontananza.

La fusione dei tre popoli avrebbe generato un’altra divinità unica comune a tutte e tre etnie, chiamato “Lug”, il Lucente.

Infatti Lug è figlio della dea “Ethniu”, a sua volta figlia del re “Balor” (probabilmente il dio solare dei fomori, tanto che Lug viene soprannominato il lucente), mentre il padre è un Tuatha de Danann sconosciuto, “Cian”, ma è figlio di “Dian Cecht” il dio della salute dei Tuatha de Danann.

Questa leggenda è una testimonianza della continuità culturale tra i greci primitivi e i popoli Britannici, in quanto anche Ethniu come Danae fu imprigionata in una torre dal padre, il quale temeva che il figlio che sarebbe nato da lei lo avrebbe ucciso, ed infatti Ethniu, come Danae nonostante fosse prigioniera rimase gravida e diede alla Luce Lug.

Qui la leggenda si differenzia in quanto Acrisio re di Argo abbandona in mare Danae con il figlio Perseo, Ethniu invece partorisce tre gemelli che Balor fa abbandonare in mare, ma la druida “Birog” complice di Ethniu e Cian riesce a salvarne uno, Lug, che nasconde nell’isola di Môn (Man).

Altra analogia dei due miti è il fatto che Danae era una principessa di Argo, Argos in greco classico, che significa: “Bianco”, o “Lucente”, come appunto era soprannominato Lug.

Quindi Lug e Perseo sono un unico personaggio figlio della continuità culturale delle tradizioni vediche, ma che essendo tramandate da popoli diversi, finivano per essere adattate alle necessità correnti.

Bisogna anche tener presente che i galli provenivano dall’area del Volga e si sono mischiati con i danai, che provenivano dalla Persia, e che dopo aver popolato la Grecia e l’Anatolia, avevano colonizzato anche il nord Europa diffondendo la cultura indoeuropea differenziandosi dagli indoeuropei della steppa nella lingua, nel grado di civiltà e anche geneticamente.

Quindi possiamo dire che le caratteristiche del ceppo danaide ed iberico corrispondevano al cromosoma R1b, nelle lingue tribali, definite centum, e da un’indole pacifica, mentre il ceppo Sciita era portatore del cromosoma R1a parlava ligue tribali definite satem e avevano un’indole spiccatamente guerriera

Non bisogna però dimenticare che nella tradizione sumera e forse trasmessa anche ai persiani, il nome Lug o Lugal indicava il re sacerdote o re sacro, il quale deteneva sia il potere materiale che quello spirituale, quindi è possibile che un condottiero come Perseo, in possesso delle funzioni di Lugal, sia stato divinizzato con il nome di Lug.

Giulio Cesare annotava nel De Bello Gallico che il luogo più importante dove si riunivano i druidi dei galli era nel Galles, il luogo venne identificato solo nel 61 d.C., nell’isola di “Môn”, che i romani chiamavano Mona.

Infatti il motto dei gallesi era “Môn Mam Cymru”, che significava “Môn Madre del Galles” in quanto Cymru era il nome tribale dei gallesi.

In seguito a questa informazione il governatore della Britannia, Svetonio Paolino ne approfittò per organizzare una spedizione militare con lo scopo di sterminare i druidi, colpevoli di istigare il popolo alla ribellione.

Con il loro sterminio i druidi porteranno nella tomba tutto il sapere del loro tempo, del quale erano gli unici depositari, causando la fine della cultura celtica, ed indirettamente creando le basi per la futura penetrazione del cristianesimo.

Si racconta che l’isola Mona fosse il luogo natale di Lug, non a caso i celti con il nome Môn si riferivano alla Grande Madre e ai luoghi che la simboleggiavano.

Oggi il nome dell’’isola è stato maschilizzato in Man, ma gli inglesi preferiscono chiamarla Anglesey, sinonimo di chiesa proprio per le sue tradizioni antiche, che si sono conservate anche nel suo stemma, infatti, il Triscele che la rappresenta non è altro che il simbolo di Madre Natura e rappresenta le tre fasi della vita vegetale o biologica: “Semina, Raccolto e Rigenerazione”.

La quarta stagione, cioè l’autunno, sarebbe stata introdotta quando l’uomo imparò a coltivare il frumento, che come è noto si semina in autunno, quindi un’altra stagione della semina.

Lo stesso stemma lo possiamo identificare con l’insegna della Sicilia chiamato “Trinacria”, forse un legame tra i Milesi di Milazzo e i Milesi irlandesi?

IL triscele lo troviamo anche come stemma della città di Füssen in Baviera situata in Algovia lungo le rive del fiume Lech.

Il nome primitivo della città era Foetes ed era attraversata dal via Claudia Augusta, ma il triscele dovrebbe ricondurre al nome del fiume, in quanto secondo le leggende Lech sarebbe il nome del capostipite del popolo polacco, pertanto si tratterebbe di un teonimo femminile maschilizzato, in quanto il territorio circostante è costituito da un ampio altipiano, oggi parzialmente sommerso da un lago artificiale che in epoca primitiva era sicuramente il regno di una divinità primitiva della natura o dei fiumi, chiamata Lech.

Recentemente, i satelliti della Nasa hanno fotografato una collina, poi risultata artificiale, e datata VIII secolo a.C., si tratta di una Moot Hill a forma di Triscele, situata nel centro del Kazakistan, praticamente nella culla della cultura caucasica.

Il toponimo Mona lo troviamo anche nel nome della città di Monmouth, situata nei pressi di Newport, e nell’idronomo del fiume che la attraversa, il Monnow.

L’origine del toponimo sarebbe dovuta alla presenza di una collina sacra alla Grande Madre, quindi Monmouth indicava il Monte Mona, che dovrebbe trattarsi del colle sul quale oggi sorge il castello di Monmouth, in quanto si erge all’interno di un’ansa del fiume Monnow.

Il nome gallese della città: Trefynnwy ci porta alla leggenda di Cerridwen e di Taliesin.

Nella leggenda medioevale il nome della maga Cerridwen nasconde per motivi religiosi il ricordo di una dea dei cereali, chiamata “Gwyn”, vale a dire “Bianca”.

La maga aveva due figli, uno dei quali era brutto, deforme e ignorante, pertanto la maga decise di creare una pozione che lo rendesse bello e intelligente come l’altro figlio.

Quindi dopo aver raccolto tutti gli ingredienti necessari li mise a bollire nel pentolone magico, dove il composto avrebbe dovuto rimanere in ebollizione per un anno intero.

Ovviamente per fare ciò si avvalse dell’aiuto di un ragazzo Gwion Bach, il quale si occupava di mescolare l’intruglio.

Ma al termine dell’ebollizione le tre gocce bollenti della pozione che erano rimaste nel pentolone schizzarono sulla mano di Gwion scottandolo, istintivamente il ragazzo si leccò le scottature e acquisì istantaneamente una grande bellezza e altrettanta saggezza.

Ceridwen inferocita lo inseguì per ucciderlo, ma Gwion si trasformò in una lepre, e quindi Ceridwen in un levriero, ma Gwion diventò un pesce e si tuffò in un fiume. Ceridwen diventò una lontra, Gwion diventò un uccello e Ceridwen un falco, ma poi Gwion si trasformò in un chicco di grano, ma non poté più scappare, Ceridwen allora diventò una gallina e lo mangiò, ma rimase incinta.

Sapeva che era Gwion e decise di uccidere il bambino non appena nato, ma il bambino che nacque era così bello che Ceridwen non riuscì ad ucciderlo, pertanto lo chiuse dentro un sacco in pelle e lo gettò nell’oceano.

Il sacco vagò sulle onde fino a spiaggiarsi sulla costa gallese (secondo molte versioni presso Aberdyfi, dove fu soccorso dal principe Elffin ap Gwyddno, con il quale Il bambino crebbe e divenne il leggendario bardo Taliesin.

Quindi il toponimo gallese Trefynnwy farebbe riferimento ai tre figli della Grande Madre Gwyn uno dei quali: Taliesin sarebbe diventato Lug, il Lucente.

Della contea di Monmoutshire fa parte anche la città di Cwmbran, il cui nome significa: Valle del Corvo, com’era chiamato Bran il dio che resuscitava i guerrieri morti eroicamente in battaglia, immergendoli nel suo calderone magico.

La valle era abitata dai Silures, una tribù molto bellicosa, dalla pelle scura e i capelli ricci, che secondo Tacito erano discendenti dei primi iberi che sbarcarono nel Galles.        Etimologicamente l’etnonimo Siluri deriverebbe dal celtico “silon” sinonimo di seme, quindi significherebbe figli del seme, e ci ricollegherebbe alla leggenda di Taliesin figlio del seme inghiottito da Cerridwen, come i figli di Mil della tradizione irlandese.

Il toponimo Môn lo troviamo come prefisso anche nel nome del “Monviso (terra dei coti), il monte dove sorge i fiume “Eridano”, nome antico del Po.

Infatti il toponimo Monviso contiene anche una corruzione dell’etimo sanscrito “Vasu”, sinonimo di “Dimora”, quindi il nome primitivo della montagna indicava la: “Dimora di Môn”; questo mi fa pensare che i primitivi identificavano la Grande Madre Môn con la luna (“Moon” in inglese), in quanto approssimativamente la luna tramonta dietro al Monviso.

A conferma dello stretto legame tra coti e danai, anche l’antico idronimo del fiume Eridano (oggi Po) ha origini gaeliche in quanto avrebbe avuto il significato di “Rhein-Danu”, ovvero “Fiume di Danu” oppure: “Danu che Scorre”, se si intende l’acqua come manifestazione della dea.

Da citare in Inghilterra anche l’isola di Arran situata più a nord di Môn alla quale gli studiosi attribuiscono molta importanza, da notare che il toponimo dell’isola potrebbe essere originato dal teonimo “Arianna” ed è omonimo a quello di una città anatolica Harran, situata al confine con la Siria, che è tra le più antiche, e che ovviamente la bibbia non potendo dare importanza a un toponimo di origine pagana, cita come “Carre”, una città dove si praticava il culto della luna, e dove visse Abramo.

Ma in questo caso si trattava di una divinità maschile, infatti dopo “Ur” città natale di Abramo, Carre era il centro spirituale più importante dove si celebrava il culto della luna, identificata con il dio sumero “Nanna” divenuto Sin per i semiti, “Hubal”, per Abramo e gli arabi, i quali adorano ancora il suo simbolo, la pietra nera, ritrovata da Ismaele su ordine di Abramo, quindi dobbiamo supporre che prima dell’arrivo dei sumeri, a Carre (Harran), i caucasici celebrassero il culto di Aryanna.

I gaelici che invasero la Britannia com’era tradizione degli albani la chiamarono “Alba”, ciò conferma la loro provenienza caucasica mentre i popoli indigeni li definirono “Scoti”, e “Scotia” il territorio che occuparono, cioè “Scozia”, vale a dire: “Terra degli Scoti”.

Con ogni provabilità i nomi scoti e Scozia derivano dal nome celtico del Kilt il gonnellino che gli scozzesi indossano ancora oggi con orgoglio come simbolo distintivo, mentre i galli e i pitti portavano le brache, che li distinguevano dagli scoti.

Infatti, etimologicamente gli etnici Scoti e Scozia, sono affini al lombardo-ligure “Scusà”, sinonimo di grembiule, continuato ancora oggi dal francese “Cotte”, e dal veneto “Cotoa”.

Ricordiamoci che alcune tribù venete si erano stanziate lungo le rive dell’attuale Normandia e del mar baltico, e sicuramente parteciparono anche loro all’invasione della Britannia.

Gli scoti fondarono la loro capitale: “Edimburgo” (Dùn Eideann), sopra a un vulcano spento, com’era tradizione degli albani, Ardea e Albalonga, per esempio.

Etimologicamente il nome gaelico di Edimburgo: “Dùn Eideann”, è un riferimento alla dea “Ethniu” (chiamata anche Eriu o Eri), identificata con la luna, si trattava della matrona d’Irlanda, una potente divinità della guerra e della fertilità, che aveva favorito la conquista dell’isola da parte dei gaelici provenienti dalla Spagna, quindi Dùn Eideann, aveva il significato di: forte della Luna Eriu.

Il toponimo Eideann contiene la radice “Ann”, sinonimo di Anna, regina, o che potrebbe essere il teonimo Danu, mentre Eriu ci riporta all’italico Eridano con il prefisso Rhein che significa fiume, ma non si può escludere che si tratti di una fusione per difetto di pronuncia, tra il soggetto: Dea Anna o Danu, e il corrispondente celtico dell’articolo “La”.

Pertanto il toponimo Dūn Eideann aveva il significato di: “Forte sul Fiume di Danu”, oppure Forte della Dea Anna (o Danu), e ancora oggi il fiume si chiama “Forth.

A testimonianza indelebile dell’invasione dei gaelici, in Inghilterra troviamo: le “Danae Hills”, (le colline dei Danai), le “Pennine Chain” (la catena Pennina), e le “Cotswold Hills”, (le colline piane dei coti), tre toponimi che ricordano i nomi delle tre tribù celtiche che hanno invaso la Bretagna.

Da notare che ancora oggi tra gli anglofoni i nomi di: Danu e Penninus, sono tra i più diffusi, nella forma di Dana e Penny.

Sulle Cotswold (La terra dei coti), un gruppo di altipiani ricoperti da numerosi laghetti, sorge il Tamigi, il cui idronimo è originato dal nome della dea fluviale “Tamesis”, forse un teonimo derivato da una corruzione di Tamara a sua volta prodotto per difetto di pronuncia da “Samara”.

Si tratta di una divinità sconosciuta, ma che io suppongo sia stata una divinità delle acque ariana, in quanto con questo nome abbiamo un fiume affluente del Volga, e alla sua confluenza i resti di una città tra le più antiche, che gli archeologi chiamano Samara, e che l’archeologa e linguista lituana, Marja Gimbutas ha indicato come la culla della lingua Indoeuropea.

Un’altra corruzione di Samara la possiamo trovare in Galizia, dove esiste un fiume oggi chiamato Tambre, ma che i galli spagnoli chiamavano Tamara.

Tamara sarebbe un nome di origine ebraica, ma è molto diffuso in Russia, tanto che nel XI secolo d.C., è stato il nome di una regina della Georgia, la terra d’origine delle lingue gaeliche, Quindi devo supporre che Tamara, Tamesis e forse anche Sequana erano divinità che continuavano il culto primitivo di Samara

L’esistenza del teonimo Tamara trova riscontro anche nella forma maschile “Tamaro”, la quale fa riferimento a due monti particolarmente interessanti nello studio della preistoria.

Infatti un Tamaro lo troviamo in Italia al confine con la Svizzera, dove costituisce il vertice della valle Veddasca, la quale si affaccia sul lago Maggiore, un tempo chiamato Verbanus.

Siamo nella terra dei leponti un popolo che parlava una lingua gaelica, i quali hanno lasciato traccia della loro presenza con numerose incisioni rupestri, che si riferivano in particolare a una divinità solare, al quale era sacro un laghetto ancora oggi chiamato “D’Elio” situato a 930 metri di quota tra, il monte Borgna (toponimo originato dal teonimo Bormanus), e il monte Cadrigna.

Mentre la valle, essendo stretta ed impervia quindi di difficile accesso, ha costituito uno degli ultimi rifugi della cultura ariana, e non a caso il suo toponimo Veddasca significa “Veda Nascosto”, in quanto i suffissi asca e asco presenti in numerosi toponimi di origine Lepontia, dovrebbero avere il significato di nascosto, continuati dall’italiano: ascaridi (funghi che crescono nascosti).

Il toponimo potrebbe riferirsi a un luogo nascosto ma non si può trascurare il fatto che il monte Tamaro pur essendo il più alto (1940 m) è nascosto alla vista da valle dalla presenza del monte Gradiccioli 20 metri più basso.

Quindi Veda Nascosto potrebbe indicare una montagna sacra che non si vede.

Invece il Tamaro più famoso e riconosciuto ufficialmente come una montagna sacra (oggi chiamato Tomaros), appartiene al gruppo del Parnaso (Grecia), dove alle sue pendici sorgeva il tempio dell’oracolo di Zeus (Dodona), il più importante e il più antico, il quale sarebbe stato usurpato all’inizio dell’età del ferro (1000 a.C.)  a una Grande Madre pre ellenica il cui culto risalirebbe al III° millennio a.C.

Nel luogo dove aveva sede l’oracolo di Dodona, sono state ritrovate tracce di frequentazione risalenti alla fine del III° millennio a.C., ciò conferma la presenza di culti pre ellenici, quindi la prima Grande Madre del Tamaro, poteva essere solo una divinità indoeuropea proveniente dalla steppa, associabile alla cultura di Varna che a sua volta essendo di origine kurgan, aveva contatti con l’area del Volga.

Questa divinità entrerà a far parte del panteon olimpico come amante di Zeus e madre di Afrodite (un’altra divinità pre ellenica) con il nome di Dione.

Considerando che il toponimo Tamaro ha una certa affinità etimologica con il nome primitivo del Don: “Tanais” e quello della città dove allora sfociava nel mar d’Azov: “Tana”, due toponimi che in forma tribale o per difetto di pronuncia o traduzione, potrebbero portarci a identificare i danai come gli abitanti delle rive del fiume, e Danu come la divinità che adoravano, che a sua volta si potrebbe identificare con la Dione degli elleni.

Quindi possiamo supporre che i vari teonimi: Tana, Tamara, Samara, Tamesis, Dione, i vari idronomi che ne derivano come Tamigi, Tamre, Tanaro, Tamara, Tanais, Samara, e i monti Tamaro facessero tutti riferimento a un’unica Grande Madre Indoeuropea: Danu.

di Wilusa, la Troia Omerica identificato da Omero con Apollo, che provabilmente in Anatolia era chiamato “Wilios” o “Uillos, da cui il nome del fondatore della città “Ilio”.

Un altro indizio sulle   radici comuni di liguri e scozzesi ce la fornisce Tacito, il quale cita il fiume Bodotria (Agricola), oggi “Forth” (fiume nero), sul cui lungo e profondo estuario si affaccia la capitale della Scozia Edimburgo, “Dùn Eideann”, in gaelico, la lingua degli antichi scozzesi.

L’idronimo Bodotria ci porta al ligure “Bodio”, o “Bodii”, nomi di alcune località rivierasche fondate dai leponzi, e sinonimi di profondo, da citare anche “Bodinco”, = “fiume profondo”, forse il nome leponzio del Po.

Il Bodotria (Forth) è dominato dallo “Stirling Castle”, una rocca della quale tre lati non sono accessibili, quindi il suffisso “tria” è un riferimento ai tre lati inaccessibili della collina, e che con ogni provabilità Bodotria era anche il nome della rocca.

Etimologicamente Bodotria è affine anche a Bodrum, il nome moderno dell’antica Alicarnasso, mancando indizi sull’origine del toponimo devo supporre che anticamente Bodrum fosse il nome della penisola sulla quale sorgeva Alicarnasso, la quale a causa di uno sviluppo urbanistico spropositato, l’antica polis potrebbe essere stata inglobata in un toponimo comune a tutto il territorio.

Nel VI secolo d. C., la rocca di Sterling era il caposaldo nord della “Northumbria”, una contea che ancora oggi mantiene il suo toponimo primitivo e che tradisce l’origine umbro ligure; ma non si può escludere il gaelico Cymru nome tribale degli scoti.

Si tratta di un territorio che si estendeva lungo la costa est, dal Bodotria al Tanao oggi Tweed, citato anche da Tacito, l’idronimo Tanao si accomuna al nome antico del Don: “Tanai”, alla cui foce sorgeva la città greca di “Tana”, due toponimi originati dalla corruzione per difetto di pronunci del tribale “danai” e dal teonimo “Danu”, la città di Tana era un emporio nel quale i greci commerciavano con gli Sciti.

I nomi di questi fiumi sembrano conciliarsi anche con la presunta divinità celtica “Tamara”, dalla quale avrebbe origine anche il nome del fiume italiano “Tanaro”, un idronimo che secondo alcuni studiosi sarebbe originato dal teonimo “Taranus”, in Piemonte lungo le rive del Tanaro, è attestata l’antica presenza del culto di Taranus che per i celti era una divinità con gli stessi attributi di Giove, Zeus e del primitivo Indra. anche qui non si può escludere una divinità femminile, poi maschilizzata dalla casta guerriera.   

Sempre nel VI secolo d. C., il caposaldo di Stirling venne conquistato dai caledoni discendenti dei primitivi pitti, i Northumbri riconquistarono la roccaforte e la Caledonia nel IX secolo d. C., sotto la guida di “Kennet Mach Alpin” primo re di Scozia.

A partire da Kenneth Mach Alpin, tutti i re di Scozia sono stati incoronati sulla: “Pietra del Destino”, un parallelepipedo di arenaria rossa, che secondo la tradizione cristiana sarebbe appartenuto a Giacobbe, sulla quale ebbe una visione divina.
In seguito la Pietra fu donata da Mosè a Galamh, il re dei milesi, al quale aveva profetizzato la conquista della Spagna.

In realtà il parallelepipedo in arenaria rossa è un altare della tradizione vedica che sostituisce le Moots Hill.

Il nome di Kenneth Mach Alpin”, tradisce l’origine albanese dei coti ed è la testimonianza del loro forte attaccamento dei alle loro tradizioni e alla terra d’origine, il che mi fa pensare anche ai numerosi Cozzi presenti nel legnanese, i quali potrebbero essere i discendenti degli antichi coti, che con la romanizzazione avrebbero adottato il nome tribale come cognome.

Anche Kenneth è un nome di origine cotia, infatti nel gaelico irlandese è “Cinàed”, che significa “Nato dal Fuoco”, mentre la forma scozzese è “Coinneach”, significa “Bello o Attraente”, quindi si tratta di riferimenti alla divinità solare “Bel”.

Nonostante che i linguisti considerino il nome William di origine germanica, attribuendogli il significato di Elmo, da cui Guglielmo, anche lui va considerato di origine gaelica, Infatti William è la continuazione del teonimo anatolico “Wilios” divinità solare e sinonimo di “Bianco” o “Lucente”, dal quale ha origine il nome “Ilio”, il fondatore di Wilusa, la Troia Omerica.

“Ilio”, è un nome che ritroviamo anche nella civiltà di Golasecca nella forma di “Uini”, “Vin”, e, “Uenia”, mentre in Francia, tra i resti di un tempio celtico scavato attorno alla sorgente sacra di “Douix”, situata nei pressi Châtillon-sur-Senne in Borgogna, è stata ritrovata una dedica al dio, Apollo Windonnus pegno di un voto esaudito a un certo Uillo, nome dal quale sarebbe nata la pronuncia Will, poi britanizzata in William.

Apollo, Vindonnus Elios e Bel erano sempre la stessa divinità, alcuni ritengono che anche Gramnos fosse una divinità solare, ma il nome gli deriva dalla roccia granitica che compone il monte Bianco, ai piedi del quale era adorato, quindi è ipotizzabile che il colore chiaro della roccia abbia indotto la gente a credere che il monte Bianco fosse la casa di Wilios, alias Gramnos.

Un altro fiume citato da Tacito è il “Clota”, oggi “Clyde”, un idronimo che ricorda i coti, si tratta di un’altra insenatura profonda, situata sul versante occidentale della Britannia, che con il Bodotria restringe l’accesso al nord dell’isola, tra le quali l’imperatore Antonino fece costruire un primo vallo per ostacolare le incursioni dei Pitti.

In Scozia sono molto diffuse le “Moots Hill”, chiamate anche “Colline Controvoglia”, in quanto si tratta di alture artificiali dell’altezza di qualche metro.

Nella lingua inglese Moots Hill significa: “Collina della Discussione”, e non a caso nel Medio Evo queste alture erano usate come luogo riservato alle assemblee dei villaggi, ma i ritrovamenti archeologici fanno pensare che siano più antiche, quindi potevano essere cumuli di terra che sostituivano i massi erranti e le montagne, come centri spirituali, non a caso Moots è una voce che mostra una forte affinità etimologica con il provenzale “Mots”, il francese “Mot”, il tedesco “Motz”, e l’italiano Motto, i quali hanno il significato di “Parola”, con i quali possiamo elencare il ligure “Mota”, che indicava una collina sacra.

La stessa tradizione delle Moots Hill la troviamo anche nella cultura dei paleoveneti, i quali costruivano delle colline in terra rossa che chiamavano Altnoi, sinonimo di altare.

La stessa funzione la doveva avere anche la Pietra del destino di re Galamh, forse utilizzata come altare nei luoghi isolati.


Rino Sommaruga

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