I Latini

Per convinzione o convenzione, gli storici attribuiscono a Giove e Zeus la stessa entità e la conseguente continuazione del culto di Amon, massima divinità egizia.

Ma in realtà, le tre divinità anche se sono originati dalla stessa cultura primordiale hanno storie completamente diverse.

Tralasciando Amon, il re degli dei egizi, i cui culto risale almeno al terzo millennio a.C., il quale tra l’altro era una divinità dell’aria chiamato Amana nella lingua egizia e soprannominato il Misterioso, o il Nascosto, perché ritenuto presente nell’aria quindi rappresentava una forma di maschilizzazione dell’arianesimo che chiamava Aria la dea Natura.

Per quanto riguarda il culto di Giove e Zeus, bisogna precisare che si trattava di due divinità dei fulmini e quindi della conseguente pioggia che nutre la natura come la Grande Madre, quindi riconducibili alle tradizioni vediche che indicano Indra come dio dei fulmini che liberano la pioggia.

E non a caso sono la continuazione del culto di Teshup una divinità mesopotamica del secondo millennio a.C, Teshub dio del cielo e della tempesta giunto in Siria dalla vicina Armenia con gli Hurriti, un popolo indoeuropeo imparentato con i Mitanni il culto del quale sarebbe stato accettato anche dai semiti dell’alta Mesopotamia e giunto in Grecia durante il Medio Evo Ellenico, portato dalle popolazioni nomadi provenienti dalla Siria (elleni).

In Grecia per difetto di pronuncia delle popolazioni locali, Teshup diventerà Zeus, Giove per i latini Yèsῡa in ebraico, che significano tutti: figlio di dio invece per i persiani Cassiti, i quali avevano conquistato la Mesopotamia.pur essendo la stessa entità spirituale era Cassio il loro dio tribale e con lo stesso nome chiamavano la quercia, che era il suo albero sacro

Cassio Giove e Zeus e venivano identificati con il pianeta Giove, mentre la loro casa era il monte Casio, chiamato anche la Montagna del Vecchio, oggi monte Hermon, situato al confine tra Libano Israele e Siria, si trattas di una delle cime più alte che dominano la Mesopotamia.

Qui bisogna precisare che anche il teonimo Giove usato dai romani, sarebbe di origine mesopotamica in quanto è la traslitterazione dell’ebraico Yahweh (Geova per i testimoni di Geova), Il quale era adorato dai pastori shasu, che prima di insediarsi nella piana di Jezreel e fondare lo stato di Israele, vivevano proprio nel territorio della Montagna del Vecchio.

Icassiti erano una popolazione indoeuropea di origine persiana, quei barbari biondi che scendevano dai monti Zagros per saccheggiare la Mesopotamia.

Durante il regno cassita si registrano due eventi che avrebbero potuto essere causa di migrazioni, il primo fu una guerra civile, in conseguenza della quale nel 1480 a.C., la famiglia degli Ulamburiah detronizzò la dinastia Eagamil.

In seguito, nel 1155 a.C., in concomitanza con la guerra di Troia il regno dei cassiti fu conquistato dagli Elamiti, un’altra popolazione di origine Indoeuropea.

Due eventi che sicuramente hanno generato un flusso migratorio delle caste dominanti verso il Mediterraneo; infatti davanti a una sconfitta militare chi possedeva oro e pietre preziose doveva fuggire per evitare che gli venissero confiscati.

Le lettere di Amarna sono la testimonianza archeologica dei buoni rapporti allora esistenti tra l’Egitto e i cassiti, da qui forse l’aiuto per raggiungere l’Italia, allora scarsamente popolata, dove hanno portato con loro il culto di Cassio (il Giove dei latini)

Seguendo la diffusione del culto di Giove Cassio, possiamo ricostruire le vicende che hanno preceduto la nascita di Roma.

In questo ci può aiutare l’interpretazione della mitologia greca, che tra i vari miti ha generato la leggenda della regina Cassiope, la quale fuggendo dalla vendetta di Poseidone, forse una tempesta marina, trova rifugio sull’isola di Corcira (Corfù), che da allora diventerà sacra a Cassio, in quanto essendo ricca di querce, i naufraghi attribuirono il merito della loro salvezza all’intervento divino del “Vecchio della Montagna” (Cassio), al quale la quercia era sacra.

Questo lo possiamo affermare con certezza, in quanto il nome Cassiope, sarebbe composto dall’unione del teonimo Cassio, il dio dei cassiti, alla radice greca “op” sinonimo di vedere.

Ancora oggi “op” è un’esclamazione con il significato di: “attento, occhio o guarda”, quindi Cassiope era: “colei che guarda Giove”, questo mi fa pensare che Cassiope sia un nome, che come quello di Cassandra, (passa tra le querce), è stato inventato dagli autori dei poemi greci per indicare una profetessa del dio Cassio, la quale per emettere i suoi oracoli, si ispirava osservando il pianeta Giove.

Un’altra evidenza ce la forniscono ancora gli autori greci, quando affermano che Cefeo, il marito di Cassiope, era il re dei libi, quindi considerando che i greci chiamavano Libia tutto il territorio dell’alta Mesopotamia che si estendeva ai piedi delle catene montuose del Libano e Antilibano,, abbiamo la certezza che la leggenda faccia riferimento alla migrazione di un gruppo di profughi cassiti

Qui emerge una contraddizione, in quanto secondo gli autori classici il re dei cassiti, che doveva essere un adoratore di Cassio, si rivolge invece all’oracolo di Ammone, il quale era posto nell’oasi di Siwah, che si trovava nel deserto libico vero e proprio, in quanto gli egizi chiamavano Libia tutto il resto dell’Africa.

Incatenata dal padre sugli scogli in riva al mare, su consiglio dell’oracolo, allo scopo di essere sacrificata al mostro marino mandato da Poseidone a distruggere la Libia, perchè era infuriato con Cassiope, la quale aveva osato affermare che la figlia Andromeda era più bella delle oceanine, le figlie del dio marino, ma Andromeda fu salvata da Perseo, il quale dopo aver ucciso il mostro la fece sua sposa.

 La presenza nel nome di Andromeda, delle radici andro (passaggio) e meda (meta), e il fatto che l’eroina fosse legata a uno scoglio, fa pensare a un nome costruito dagli autori classici con il significato di passaggio (tra gli scogli) verso la meta.

Con Perseo nome attribuito dagli autori greci a un condottiero persiano entra in gioco un’altra leggendaria principessa, Danae un altro nome tipicamente persiano.

Nella leggenda Danae è figlia di Acrisio re di Argo, il quale in seguito a una profezia secondo la quale: sarebbe stato ucciso dal nipote che sarebbe nato dalla sua unica figlia Danae, fece rinchiudere la bambina in una prigione, dove poteva incontrare solo la nutrice; ma Zeus (secondo la tradizione ellenica), tramutatosi in pioggia d’oro (corruzione?) riuscì a penetrarvi attraverso il tetto e a sedurre Danae, generando Perseo.

Scoperta la nascita del Nipote, Acrisio lo fece rinchiudere assieme alla madre, in una cassa che gettò in mare, alla deriva, la cassa però si arenò sulla spiaggia dell’isola Serifo dove Danae e Perseo ottennero l’ospitalità del re Polidette.

Cresciuto, Perseo tornerà ad Argo con la madre, rassicurerà il nonno sulle sue intenzioni, ma durante una gara di lancio del disco, a causa del vento, lo colpirà causandone la morte, realizzando così la profezia.

Perseo addolorato per l’incidente, abbandonerà il regno di Argo, ed andrà a fondare una sua città, Micene.

In realtà il mito ellenico sulla nascita di Perseo non fa altro che riprendere un mito dei celti irlandesi, il quale ci riconduce alla nascita del dio dei galli “Lügh”, che a sua volta era nato da una divinità irlandese “Ethniù”, figlia di “Balor”, il re delle divinità fomoriariane “, che come Acrisio con Danae, in seguito alla stessa profezia, aveva rinchiuso la figlia in una torre, e successivamente gettato il nipote in mare.

All’oracolo si era sicuramente rivolto anche Perseo, il quale com’era usanza in quei tempi, per avere il consenso e i consigli del dio, sulla fondazione di una nuova colonia, doveva rivolgersi ad un oracolo divino, il quale potrebbe avergli consigliato anche il matrimonio con la cugina per mettere fine alle liti familiari. infatti bisogna considerare che gli oracoli e i sacerdoti erano come dei ministri degli esteri, e fungevano da mediatori tra i popoli e i regnanti tra i quali era possibile sancire alleanze.

Perseo è un nome che secondo alcuni linguisti avrebbe il significato di: “che distrugge e saccheggia”, ma a mio parere potrebbe avere un significato contrario, e derivare da molti aggettivi o verbi, come perseguitato, perso, o peregrino, come poteva essere un esule.

In realtà Perseo significava persiano, ed era usato come soprannome per indicare la gente non civilizzata, come chi distrugge o saccheggia, ma considerando il greco “persikòn”, da cui il latino “Persicus”, sinonimi di:” origini persiane”, Perseo va considerato come un soprannome greco del condottiero persiano che ha guidato i cassiti verso una nuova patria.

Anche il nome della madre “Danae” non è ellenico, ma caratteristico dei danai, una popolazione pre ellenica di cultura indoeuropea, che abitava la Grecia prima dell’arrivo degli elleni; infatti il nome di Danae e dei Danai sono originati dal teonimo “Danu”, una divinità primordiale di origine indiana, il cui culto era diffuso in Persia, Anatolia, Grecia e in tutta Europa, mentre in Grecia il culto di Zeus arriverà solo in epoca classica, quando “Cassiope” era già sbarcata a Corcira.

Quindi Zeus è totalmente estraneo alla nascita di Perseo, il cui padre mitologico sarebbe Cassio, pertanto il mito greco sul suo concepimento è solo il frutto della fervida fantasia degli autori greci, influenzati dallo spirito sciovinista di una società che non voleva ammettere di essere stata invasa da un popolo che riteneva inferiore.

 Quindi dalle vicende mitologiche fin qui riassunte la logica mi porta a supporre che le due principesse fossero state protagoniste di una faida famigliare, causata dalla mancanza di un erede maschio, forse la stessa che portò alla caduta della dinastia Ulumburiah e all’ascesa degli Eagamil nell’impero cassita, dove la mancanza di un discendente maschio poteva comportare la perdita del regno.

A questo possiamo aggiungere la presenza di una profetessa tra le due rivali che avrebbe potuto manipolare il pensiero del re, alla cui morte le due figlie perderanno il regno, finendo per essere esiliate.

Infatti se Cassiope sbarcherà a Corcira, Danae approderà nel Lazio, in quanto: Dionigi di Alicarnasso attribuisce la fondazione di Ardea avvenuta nel XV secolo a.C., ad opera del rutulo Pilummo, il quale aveva sposato Danae madre di Perseo, con la quale era giunto sulle coste laziali, con rutuli si indicava una popolazione caratterizzata dai capelli rossi, o biondi originaria della Persia.

Secondo Ovidio, dal matrimonio di Danae con Pilunno nascerà Dauno, a sua volta padre di Turno, il quale sarà ucciso da Enea, che incendierà Ardea.

Ovidio Nell’attribuiee l’origine del nome di Ardea si è ispirato dal volo di un airone cinerino, che si sarebbe levato durante l’incendio, appiccato da Enea, ma in realtà si tratta di una visione poetica sull’origine del toponimo, la quale ha portato alla formulazione dell’idea mitologica legata a un incendio, che avrebbe distrutto la città, mentre in realtà l’origine del toponimo va attribuita al fatto che Ardea sorge su antichi depositi di ceneri e scorie vulcaniche, quindi terra bruciata, da qui l’epiteto che “Ardeva”.

Bisogna considerare anche l’ipotesi del toponimo Ardea come corruzione o confusione di un sostantivo che indicava i presunti natali argivi della regina, o addirittura che facesse da riferimento alla città di Argo, come poteva essere “Argea, Argiva ecc.”, per esempio.

Anche Penelope viene indicata come discendente di Perseo, alla nascita venne gettata in mare dai genitori, ma venne salvata dalle anatre, che la tennero a galla riportandola sulla spiaggia, davanti al prodigio i genitori la ripresero in casa chiamandola appunto Penelope, sinonimo greco di anatra.

Il nome del re Cepheus può essere all’origine del nome dell’isola Cefalonia, mentre la mitologia greca attribuisce l’origine del toponimo a Cefalo, “Kephalos”, una divinità semisconosciuta, i cui quattro figli avrebbero fondato le quattro città più importanti dell’isola.

Che nelle isole ioniche c’era una prevalenza di cultura pre italica, ce lo dimostra il nome dell’isola “Lefkàda”, “Leukàs”, in greco antico.

Leukàs e situata a metà strada tra Corcira e Cefalonia-Itaca, ma mentre gli studiosi attribuiscono l’origine del nome alle bianche scogliere che circondano l’isola, io penso a Leukotea, la madre Matuta degli italici, dea bianca, della luce mattutina e protettrice dei parti, in ogni caso, le bianche scogliere dell’isola hanno sicuramente influito sulla spiritualità dei primitivi, portandoli a credere che l’isola fosse la casa della dea bianca.

La mia convinzione trova sostegno nel fatto che con il cristianesimo, il nome dell’isola Leukàs, fu cambiato in santa Maura, una martire del III secolo d.C., di carnagione scura e di origini mauritane, da cui il nome (il che alimenta il sospetto che si trattasse di una martire inventata a proposito), quindi una evidente volontà di cancellare un culto legato alla dea bianca, sovrapponendogli la devozione a una santa di pelle nera.

L’isola di Zante, o Zacinto, Zakynthos in greco antico, anche se non presenta tracce di cultura pre italica, ci offre una testimonianza storica sui contatti esistenti tra le isole ioniche e le popolazioni del Lazio, infatti la sua popolazione si è alleata con i rutuli (i rossi) di Ardea, per fondare la colonia di Sagunto, in terra catalana nei pressi di Valencia, I capelli rossi dei rutuli e la cultura ligure diffusa nel territorio catalano, mi fanno pensare che questo popolo fosse di stirpe umbro ligure, non a caso in lingua valenciana la città si chiama Sagunt come nell’idioma lombardo mentre in genovese diventerebbe Saguntu.

La storica e ostinata fedeltà all’alleanza con Roma, manifestata dai saguntini, fino al punto di essere sterminati dai cartaginesi, è la dimostrazione delle radici latino-cassite di Sagunto.

L’etimologia dell’etnonimo “Latino”, mi pone un grosso dilemma, che mette in dubbio non solo le mie conclusioni ma anche tutta la letteratura latina.
Infatti l’etimologia di latino è la stessa di “Latona”, l’amante che Zeus trasformò in lupa per nasconderla alla vendetta di Era, e che in questa forma partorì Apollo e Artemide.
Latino potrebbe essere il maschile di Latona, “Lupo”, o avere il significato di “figlio della lupa”, da ricordare che, anche il verbo “latrare”, è originato dal nome di Latona.

Tutto cio ci dice chiaramente che in origine i latini erano una popolazione indoeuropea, che come i danai prendeva il nome dalla loro grande madre “Latona”, che essendo madre di Apollo e Diana, il Sole e la Luna, poteva essere solo l’entità universale di tutti i popoli indoeuropei, e che gli elleni, essendo di cultura semita inseriranno nel loro Phanteon con il nome di Leto e come figlia dei titani Febe e Ceo, a loro volta figli di Urano e Gea le due divinità primordiali della Teogonia ellenica.

In origine i latini erano una società di pastori ovviamente di cultura matriarcale che celebrava i lupercali in onore di Fauno, il dio protettore delle greggi dai lupi, ma in merito alla loro Grande Madre non sappiamo nulla.

Ma considerando che ai tempi della fondazione di Roma il culto di Apollo fosse già presente, come anche quello del suo omonimo etrusco “Apulu”, devo supporre che in origine prima di Marte, i latini adorassero come Grande Madre la genitrice di Apollo, cioè la Lupa Latona, chiamata anche Leto, da ciò la tradizione dei Figli della Lupa e l’etnonimo latini.

Infatti in origine Latona era una Grande Madre protettrice dei bambini, che gli elleni hanno inserito nel loro panteon come amante di Zeus che la trasforma in lupa per nasconderla alla gelosia di Era.

In alternativa l’’etnonimo latini potrebbe derivare dal toponimo Lepini, una catena montuosa di natura calcarea, da cui il latino “lapis”, sinonimo di pietra per scrivere.

La trasposizione del toponimo in latini potrebbe essere spiegata anche dalla mutazione del toponimo “Lepinus mons” in monte Lupino, poi divenuto Lupone, dal quale si può dominare tutta la vasta pianura Pontina, la quale suggerisce anche il greco “platys”, sinonimo di piatto e largo da cui i latini “platium” e, “latium”, terra dei laziali, quindi per trasposizione latini.

In merito al culto della lupa, bisogna rivalutare la figura di Acca Laurentina, la madre adottiva dei gemelli, in quanto il suo nome potrebbe indicare un oracolo della dea lupa.
Infatti, del prenome Acca non si conosce l’origine etimologica, mentre sappiamo che è il nome di una lettera dell’alfabeto fenicio definita: “Muta”, mentre Laurentia è originato dal nome latino dell’alloro, chiamato anche lauro, albero sacro al lupo Apollo, e probabilmente anche a sua madre Latona.

Quindi possiamo supporre che il nome “Acca Laurentia”, indicava una medium chiamata: la Muta dell’Alloro, i cui mugolii emessi nelle vicinanze di un alloro sacro, venivano interpretati da un sacerdote come l’espressione della volontà divina.

Da allora Muta è diventato anche sinonimo di branco, come le persone che si riuniscono per ascoltare l’oracolo.

A sostegno dell’ipotesi che Acca Laurentia fosse una medium bisogna dire che alcuni storici del tempo, sostenevano che il fico sotto il quale furono trovati Romolo e Remo non era in riva al Tevere ma nei pressi di una grotta sacra sul Palatino, dove si celebravano i lupercali, e che nelle tradizioni greche ed italiche (Civiltà di Golasecca) il fico, in virtù del valore simbolico del latte che fuoriusciva dai suoi frutti a forma di seno, era sacro a Melissa la dea che nutre i bambini abbandonati,

Quella che i golasecchiani chiamavano Melissa per i romani era Rumina, alla quale era sacro il ficus Ruminalis, il teonimo Rumina è originato dal latino “ruma” sinonimo di mammella, dai quali deriverebbero i nomi di Romolo e Remo, e a mio parere anche il nome di Roma, in quanto i suoi fondatori erano protetti da Rumina, incarnata nella Medium Acca Laurentia, e da ciò indicati come figli della Lupa.

Da notare la simbiosi tra la lupa romana e la lögia (scrofa), dei galli, due nomi di oracoli pagani, che per i cristiani sono diventati sinonimo di prostituta.

Laurentius era anche il nome di una città che secondo la leggenda fu fondata da Enea nel luogo dove sbarcò.

Se Enea è un personaggio mitologico, Laurentium, è sicuramente un luogo dove sono sbarcati dei profughi anatolici, magari provenienti proprio da “Wilusa”, la Troia omerica, in quanto anche Plinio ci conferma che il toponimo è dovuto alla presenza di un alloro sacro, quindi possiamo ipotizzare che a Laurentium la gente adorava il dio solare di Wilusa, “Wilios” l’Apollo di Omero.

In seguito Laurentium sarà distrutta dagli ardeati, e ricostruita più all’interno con il nome di Lavinium, dove verrà ritrovato un tempio più antico di Roma, sacro al “Sole Invicto”, una ulteriore testimonianza della presenza di genti legate a culture solari.

Da considerare che Giulio Cesare, vantava l’appartenenza alla stirpe di Enea, in realtà doveva il suo nome alla discendenza dagli Juli una tribù di albani insediata nella Venezia Giulia, che ovviamente manteneva i legami sociali con le altre tribù attraverso i matrimoni.

In seguito con l’arrivo dei cassiti i quali oltre ad essere culturalmente più evoluti erano più ricchi e quindi più influenti, il culto di Cassio sostituì progressivamente Marte nelle menti dei latini appartenenti alle caste superiori, mentre i pastori (futuri fondatori di Roma) per i quali il lupo rimaneva un pericolo per le greggi, l’adorazione della lupa continuava ad essere una speranza di benevolenza divina.

In merito alla presenza di una popolazione di origini mesopotamiche si può considerare anche l’affinità etimologica tra il nome romano del Tevere: “Tibrys”, in precedenza chiamato Albula e l’idronimo del fiume Tigri, Tigris nell’antichità, da sottolineare l’antico persiano Tigrӓ, poi divenuto Tigr e il latino Tigrim (Isidoro di Siviglia).

Ai cassiti va attribuita l’origine della gens Cassia, quella che si può definire la famiglia più antica di Roma, mentre la realizzazione del primo tratto della via Cassia non fu altro che la sovrapposizione di una strada romana a un antico sentiero che partendo dal litorale ostiense raggiungeva la località di “Forum Cassii”, letteralmente “Mercato dei Cassi”, situata ai piedi dei monti Cimini, che con ogni provabilità era un emporio che serviva per commerciare con gli abitanti dei monti.

Dopo Forum Cassi la via proseguiva in direzione di san Casciano dei Bagni, un altro toponimo cristianizzato, il quale fa riferimento a sorgenti termali anticamente sacre a Cassio.

Sui Monti Cimini si sono ritrovate tracce di insediamenti umani risalenti al neolitico, continuati anche nell’età del bronzo, ma dei quali non si riesce a stabilire la cultura, tranne gli insediamenti dell’età del ferro attribuiti agli etruschi.

Tra questi monti di origine vulcanica spicca il monte Cimino, sia per la sua altezza che per il maestoso faggeto che ancora oggi lo ricopre, un ineludibile richiamo spirituale, sulla cima del monte sono tuttora presenti le tracce di una città fortificata risalente al XI, XII secolo a.C. che occupava una superficie di oltre 50.000 metri quadrati, della quale non si è ancora riusciti a stabilire il popolo di appartenenza.

Il monte sovrasta la località di Soriano nel Cimino anticamente chiamata Surano, una provabile corruzione di siriano, da comparare Soriano con l’arabo “Sūrija”, sinonimo di Siria, quindi il toponimo è un riferimento che suggerisce la presenza di gente proveniente dalla Siria o Mesopotamia, come la terra di provenienza dei cassiti; l’arabo Sūrija è comparabile anche al lombardo “suriàa”, sinonimo appunto di soriano.

Un altro riferimento ai siriani, ci viene dalla città di Sora, località la cui fondazione viene attribuita ai volsci, la quale oltre al toponimo, richiama l’origine cassita dal fatto di essere stata fondata su un colle oggi dedicato a san Casto e Cassio.

La vicinanza di tutti questi siti, dove sono attestate la presenza: sia del culto di Cassio, che il popolo dei Volsci, mi fa ritenere che prima della fondazione di Roma, la provincia di Viterbo fosse una specie di enclave cassita nel territorio dei latini, anzi essendo il territorio popolato dai volsci, si può ritenere che si trattava di mesopotamici sbarcati ad Anzio, città che fu a lungo la capitale dei volsci.

Con il tempo, il numero esiguo della popolazione e gli eventi, i cassiti hanno finito per essere assorbiti o confusi con le popolazioni preesistenti, anzi, tale fusione potrebbe essere testimoniata dal “Foedus Cassianum”, un patto sconosciuto agli storici e annalisti romani, proprio perché sarebbe stato stipulato tra latini e cassiti prima della fondazione di Roma.

In merito al Foedus Cassianum, oggi c’è la tendenza ad attribuire al console Spurio Cassio Viscellino la sua stipulazione, avvenuta nel 493 a.C., ma in realtà, Spurio Cassio Viscellino ha semplicemente ratificato con nuove città, il patto che i suoi antenati cassiti avevano stipulato con i latini, i quali lo chiamavano: “Feriae Latinae”, Alleanza con i Latini o anche “Juppiter Latiaris”, che era già stata ratificata anche per conto dei romani da Tarquinio Prisco.

Nella terra Latiaris, erano presenti anche gli albani un popolo di origine danaide proveniente dall’albania caucaside e che frattempo avevano colonizzato l’Adriatico.

Come da tradizione matriarcale si erano insediati su colline di origine vulcanica come i colli Albani che a dispetto del toponimo sono composti di roccia nera, come la terra della più antica Ardea, mentre la loro città più importante era Albalonga che secondo la mitologia sarebbe stata fondata da Ascanio, figlio di Enea chiamato anche Iulo o Eurileone, due nomi molto più realistici, specie Iulo che potrebbe fare riferimento a una parentela con gli Iuli, migrati più a nord.

Secondo la mitologia i discendenti di Ascanio regnarono su Albalonga per 20 generazioni con il nome di famiglia Silvio, il quale mi fa ipotizzare che fossero adoratori di Silvanus alter ego dell’etrusco Selvans, protettore della natura, delle selve e delle campagne, spesso associato a Marte del quale poteva essere figlio, come il suo omonimo greco Pan lo era di Ermes.

Considerando anche il suo aspetto da caprone Silvanus doveva essere altresì la stessa entità del celtico Cernunnos, e ciò escluderebbe la fondazione da parte dei troiani e sono propenso a considerare gli albensi come un popolo italico sempre di origine danaide ma presente nel territorio fin dall’età del Rame, qundi non sono i portatori del culto di Cassio, anche se  secondo i mitologi latini, sabbero stati proprio gli albensi nella persona di Ascanio a proporre ai latini l’alleanza della quecia sul monte Cavo, la cui celebrazione annuale, per i romani diventerà le “Feriae Latinae”, le quali si celebravano con una settimana di festa all’inizio di agosto, una tradizione festaiola che continua ancora oggi.
            Ma ritengo che  Enea e Amulio siano solo personaggi ispirati da condottieri provenienti da luoghi sconosciuti agli indigeni, e giunti sulla costa laziale in tempi remoti, Anche il personaggio Pilunno (Pilumnus) marito di Danae  in realtà viene indicato anche come un dio protettore dei neonati dalla furia vendicatrice di Silvanus

Anche il potere di Numitore re di Albalongala viene usurpato dal fratello Amulio a causa della mancanza di un erede maschio e la figlia Rea Silvia costretta a rinchiudersi nel tempio come vestale, dove nasceranno Romolo e Remo, che anche loro finiranno per diventare rivali della lotta per il potere.

Un destino familiare?

Rino Sommaruga
Copyright 2019 Rino Sommaruga
rinosommaruga@gmail.com

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93 risposte a “I Latini”

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