Gli etruschi sono il grande enigma degli studiosi, in quanto non si riesce a stabilire la loro origine.
Quello che confonde gli storici è l’alto grado civile e culturale che hanno saputo raggiungere, malgrado fossero isolati dalle grandi culture orientali, ma come vedremo, l’evoluzione culturale degli etruschi è stata favorita dalla presenza di una casta straniera che operava nel commercio con il Nord Europa, coinvolgendo anche la popolazione indigena.
Nella loro lingua si chiamavano “Rasenna”, o “Rasna”, il che farebbe pensare agli abitanti di Ravenna, città che hanno fondato e da dove passavano i commerci marittimi dei primi villanoviani (la civiltà che li ha preceduti), mentre la loro divinità più importante era “Tinia”, chiamato anche “Voltumna”, “Veltha”, o “Vel”.
Voltumna però poteva anche essere una divinità fluviale, come sembra indicare il nome del fiume Volturno, ma troviamo una contraddizione nel toponimo Volterra, la “Velathri” degli etruschi, la quale inizialmente era un colle sacro villanoviano, ai piedi del quale, nel VIII secolo a.C., si sono sviluppati dei villaggi commerciali, poi riunitisi in un’unica città.
L’idronimo antico “Volturnum”, sarebbe una forma italica con il significato di “svolta e torna”, com’è il corso del Volturno, formato da grandi anse che invertono continuamente la direzione del suo corso con ampi giri di 180 gradi, che formano tante penisole facilmente irrigabili e difendibili, tanto che all’interno di alcune di esse, i villanoviani fondarono importanti città come Volturnum e Capua, le quali erano protette su tre lati dal fiume, e da un canale artificiale sul quarto.
Da ciò si può anche ipotizzare che secondo il credere primitivo dei villanoviani, il dio Voltumna assumeva l’aspetto di un fiume per proteggere la città a lui sacra.
Oggi una di queste anse è occupata dalle località di Cancello e Arnone e se Cancello ci porta al latino Cancellus, con un chiaro riferimento all’esistenza di un ponte fortificato, che costituiva una porta d’accesso alla città, la quale sbarrava la strada consolare, Arnone ci riporta alle tradizioni fluviali degli umbri.
Infatti come abbiamo già visto l’idronimo Arno è di origine celtica e indica l’ontano “fearn, o vearn, oppure vernos”, da cui il latino “alnus”, un albero che affonda volentieri le sue radici lungo le rive dei fiumi, quindi Arnone indicava sicuramente un ontano sacro a qualche divinità umbro ligure. Ma esiste anche una divinità fluviale greca chiamata “Arnos”, uno dei cento figli di Oceano e Teti.
Come il Volturno anche l’Ombrone quando giunge al piano assume un andamento sinuoso, tale da formare numerose enclavi protette dal fiume, in oltre, il suo nome è etimologicamente affine all’etnico “Umbro”, quindi si potrebbe ipotizzare un’altra divinità fluviale, che avrebbe dato il nome anche alla tribù che abitava lungo le rive del fiume.
L’ipotesi della divinità fluviale sembra confermata da un fenomeno naturale chiamato “Brontide”, si tratta di esplosioni provenienti dalla terra, che si manifestano dalle rive dell’Ombrone fino a Cattolica. Ancora all’inizio del XX secolo si credeva che le brontidi fossero causati dal fiume, pertanto in epoche remote era facile pensare al mal’umore di una divinità. Lo stesso fenomeno delle brontidi manifesta anche in Egitto da una statua di Amenofi III, la quale al variare della temperatura emette dei brontolii.
Etimologicamente il teonimo Tinia sembra originato dal celtico “Tinne”, nome dell’agrifoglio, albero sacro al sole e ad Apollo, non a caso la consorte di Tinia è “Thalna”, che viene identificata con “Tanit” la dea lunare dei cartaginesi.
L’etimo Tinne lo ritroviamo nel nome del torrente “Tinella” che sorge tra le cime del Campo dei Fiori (l’Elisio dei pagani) a Varese, in un altro Tinella affluente del fiume Belbo in provincia di Cuneo e nell’idronimo francese “La Tinee”, un affluente del Varo.
La Tinee scorre ai piedi dell’altipiano di “Auron”, un territorio da sempre votato al pascolo, che solo nel XX secolo è stato trasformato in una stazione sciistica.
Nella lingua occitana Auron omonimo del nome antico dell’Olona è un sostantivo originato da “Aura”, sinonimo di aria o vento, quindi il vedico “Natura”, pertanto l’altipiano è da considerare un antico luogo sacro e Tinia una divinità vedica.
Tinia potrebbe essere messo in relazione anche con la città di “Thinissut”, situata alla periferia dell’odierna Hammamet, un toponimo che potrebbe essere un retaggio del passaggio degli iberi lungo le coste del Nord Africa, i quali in un secondo momento avrebbero portato il culto di Tinia anche sulle Alpi.
A Thinissut è stato ritrovato un tempio sacro al re degli dei cartaginesi “Ba’al Hammon e alla sua consorte “Tanit, che in seguito i romani consacrarono a Saturno.
Etimologicamente il nome della dea Tanit potrebbe essere identificato con quello dell’etrusca “Thalna”, che in alcune incisioni etrusche appare come moglie di Tinia e detentrice degli stessi attributi divini di Tanit.
La presenza dei Fenici nel Tirreno con i loro empori, resa necessaria come prevenzione agli atti di pirateria compiuti come abitudine da questi personaggi poco inclini alla civiltà, ha sicuramente favorito la diffusione della cultura punica tra i villanoviani e la successiva integrazione tra le due popolazioni, fino al punto da essere identificati come un unica nazione, i “Tirreni” per i greci, gli “Etruschi” per i romani, ma con ogni provabilità si riferivano ai cartaginesi e alle loro colonie, che dominavano il Tirreno, in quanto Cartagine era un clone di Tiro, toponimo dal quale deriverebbe l’etnonimo Tirreni.
Un esempio è la colonia di Tharros in Sardegna, il cui nome è un sinonimo greco di Tiro, altre colonie erano Palermo e Trapani in Sicilia, ma in pratica Cartagine era padrona della Sardegna, la quale essendo posta al centro del Mediterraneo era diventata il punto di riferimento di tutte le rotte marine.
I tirreni sono arrivati anche sulle Alpi, come testimoniano alcuni ritrovamenti archeologici avvenuti a Tirano (Tiràa in dialetto) che con il toponimo attestano la presenza di un emporio etrusco che commerciava con i reti degli altipiani.
Il toponimo Tiro è l’italianizzazione del lido “Tyros”, mentre il nome fenicio della città era “Sur”, e in Lidia ha origine anche la leggenda di Tyrrhenus, il mitico fondatore delle dodici città dei tirreni.
La leggenda racconta che: di fronte a una grande carestia, il re dei lidi Telefo, divise il suo popolo in due, e ne affidò una parte a uno dei due figli, Tyrrhenus, ordinandogli di condurre quella gente in cerca di una nuova terra.
In realtà considerando che i lidi erano di cultura vedica mentre i Tirreni adoravano divinità semite, la leggenda di Tyrrhenus, storicamente andrebbe messa in relazione alla carestia (documentata dagli egizi), che colpì l’Anatolia alla fine del II millennio a.C., e alle guerre con gli elleni, che provocarono la caduta dell’impero ittita.
Tale carestia diede davvero inizio alla migrazione verso l’Italia e l’Europa di popolazioni anatoliche legate alla cultura vedica, ciò coincide con l’arrivo in Europa della metallurgia del ferro, della quali gli ittiti erano stati custodi gelosi del segreto, la cui diffusione diede inizio alla cultura di Halstat, da questi eventi eventi gli autori latini, con qualche secolo di ritardo trassero ispirazione per le loro opere dai mitologici personaggi Omerici in fuga da Ilios.
Un’altra testimonianza di queste migrazioni è il vulcano “Etna”, al quale gli esuli “Palaici”, imposero il nome della loro grande dea madre e fondarono Catania (etimologicamente “Sotto la Regina”).
Mentre i Tirreni sono da mettere in relazione con le vicende della città fenicia di Tiro e alla lotta di potere tra la regina Didone e il fratello Pigmalione, che ha portato alla migrazione di una parte della popolazione di Tiro, e alla successiva fondazione di Cartagine, con il conseguente declino della città madre, tanto che nel 664 a.C., Tiro cadde sotto la dominazione degli assiri guidati da Assurbanipal, pertanto è da supporre che anche allora ci fu una migrazione della casta dominante, la quale si sarebbe rifugiata presso i cartaginesi e nelle loro colonie, contribuendo a diffondere la cultura fenicia nel Tirreno.
Testimonianze archeologiche citano il re di Caere Thefarie Velianas eletto re per volontà della comunità fenicia, il quale nel V secolo a.C., fece erigere il tempio di “Pyrgi” (nome greco dell’attuale Santa Marinella), dedicato alla dea fenicia “Astarte”, chiamata anche “Ishtar”, o “Tanit”, “Uni” per gli etruschi.
Nel tempio sono state ritrovate tre lamine d’oro inneggianti alla dea Astarte, due in etrusco e una in fenicio, segno evidente dell’esistenza di due comunità culturalmente diverse, ma che adoravano la stessa dea.
Un’altra traccia dell’esistenza di tradizioni diverse si denota anche nei rituali funebri, nei quali al tradizionale il rito crematorio dei villanoviani, a partire dal VIII secolo si aggiunge anche quello inumatorio, in uso tra alcuni fenici.
Sull’etnonimo etruschi usato dai romani, non esistono radici etimologiche che possano offrire tracce sul suo significato, e lo stesso possiamo dire di Rasenna e Rasna, anche se in questo caso si possono individuare elementi delle culture egizia e indoeuropea, come il sole “Ra” e il fiume Senna.
Considerando le evidenze archeologiche, le quali attestano la presenza di due culture diverse, una dominante e l’altra sottomessa; per l’etnonimo “Etruschi” possiamo ipotizzare le radici greche “etero” sinonimo di altro o diverso, e “archòs”, il quale indica un principe, quindi Etruschi indicherebbe una casta regnante di etnia diversa da quella del popolo.
Da non trascurare anche il greco “etairos”, sinonimo di socio, dal quale potrebbe derivare un etnonimo indicante il connubio tra due popoli.
Altri villanoviani si sarebbero integrati con gli umbri come sembra indicare il toponimo Velletri “Velester” nella lingua dei “Volsci e la città di Volsinii.
In merito a Tinia, questa divinità potrebbe essere messa in relazione con i popoli dei Tini e dei Bitini, originari anche loro della Tracia; Strabone li definiva Strimoniani, perché in origine vivevano lungo le rive del fiume Strimone, oggi chiamato “Struma”, (Acqua Nera, ma alcuni per struma fanno riferimento al greco Stroma, sinonimo di strato), il quale sorge in Bulgaria sul monte Vitosa, la cui cima più alta è chiamata “Cerni Vràh”, tradotto in “Picco Nero”, ma in perfetto linguaggio ligure si potrebbe anche leggere: “Corno Nero”, come Struma potrebbero essere i numerosi torrenti liguri chiamati Strona.
Un ramo dei tini e dei bitini migrò dalla Tracia in Anatolia, dove in prossimità del Bosforo fondarono i regni di Bitinia e Tinia, quindi data per certa l’esistenza di una regione chiamata Tinia si può supporre anche l’esistenza di una divinità omonima adorata da quel popolo. Quindi possiamo supporre che gli adoratori di Tinia erano tra i traci o danai che invasero la pianura Padana durante l’età del bronzo.
Della Bitinia si può citare il monte “Uludag”, un toponimo composto dalla radice “Ulu”, sinonimo di “Potente”, e “Dag”, montagna, considerato l’olimpo della Bitinia o della Misia. L’Uludag in turco era chiamato anche “Kesis Dagi”, la Montagna dei Monaci, il che richiama il monte “Kasio”, la “Montagna del Grande Vecchio”, quindi Tinia poteva essere la stessa entità spirituale che i cassiti chiamavano Cassio e i latini Giove. Il monte Uludag è un vulcano spento, quindi è da considerare anche un’antica sede di un culto matriarcale, non a caso la Bitinia è attraversata dal fiume Sangarius, oggi Sakaria come l’omonima città, il quale era una divinità fluviale, indicato anche come amante di Cibele, la Grande Dea Madre, alla quale era sicuramente sacro il vulcano Uludag. Da Sangarius deriverebbe anche il nome del fiume Sangro in Abruzzo.
Anche Strimone era una divinità fluviale tracia, di Lui esistono monete celtiche che lo ritraggono con un tridente, come Poseidone, quindi dobbiamo supporre che Strimone era una divinità marina pre ellenica, come il dio marino degli illiri “Rodio”, il cui nome al femminile, lo ritroviamo nel teonimo “Roda”, una ninfa figlia di Poseidone, andata sposa a “Elios”, nome greco di “Wilios”, il dio solare degli anatolici, protettore di “Rodi” e della “Ilio” omerica.
Rino Sommaruga
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