Anche se si tratta di un popolo arabo, mi sembra doveroso parlare anche dei fenici, i quali oltre ad avere la nostra stessa origine culturale, e aver diffuso l’alfabeto, con i loro consanguinei semiti hanno avuto una notevole influenza politica ed economica sull’Italia e L’Europa.
I Fenici appaiono sulla scena storica durante l’età del bronzo, e vengono considerati come la continuazione della cultura cananea.
In realtà siamo di fronte all’ibridazione di due popoli, in quanto lungo le coste nord africane del Mediterraneo allora abitate da semiti e indoeuropei si insediano delle comunità di mercanti arabi (semiti), che operavano nell’interscambio delle merci di provenienza mediterranea e asiatica, i quali avendo imparato ad orientarsi nel deserto, attraverso l’osservazione delle stelle, aplicano le stesse conoscenze anche nella navigazione, che fino allora avveniva solo sottocosta, e quindi diventano i dominatori dei mari.
Il toponimo “Cananea” era di origine indoeuropea, in quanto, Cananea o Canaan significava: “Terra di Ann”, vale a dire la terra della signora del cibo, cioè l’Arianna degli sciti o l’Anna Perenna dei mediterranei, cioè la Grande Madre Natura della cultura indoeuropea.
Invece, il nome antico della Fenicia (l‘attuale Libano), traslitterato era “KN’NM”, oppure “Kan’anim”, si tratta dello stesso toponimo, ma il primo è espresso nella lingua primitiva dei semiti, cioè senza le vocali, mentre in seguito, secondo la tradizione biblica, sul monte Sinai dio darà a Mosè anche le vocali, da cui Kan’anim, praticamente lo stesso significato di Cananea, mentre i romani e i greci la chiamavano “Phoenìcia” un toponimo dal quale deriverà il nome della Palestina “Palaistìnè” in greco, quindi si tratta di toponimi che fanno riferimento a popoli pre semiti di cultura caucasica, i quali hanno popolato le coste siriane e cananee prima dell’arrivo dei semiti.
In realtà la Fenicia non era un’entità territoriale ben definita, ma una confederazione di città stato indipendenti tra loro, ma culturalmente affini, governate da una casta di mercanti, e situate in un territorio soggetto ai faraoni o agli ittiti, tanto che dalle lettere di Amarna emerge che nel XIV secolo a.C., il re dell’isola Tyros, “Abi Milku”, si rivolge al faraone d’Egitto per poter ampliare la città anche sul continente.
L’inizio dell’età del ferro fu anche l’inizio della decadenza dell’impero egizio, il quale fu sottomesso prima dagli assiri, poi dai persiani, in seguito dai macedoni di Alessandro Magno, ed infine dai romani, ai quali dovettero sempre versare dei tributi.
Tra le città fenice più importanti si possono citare: Arwad (Arados), Amrit (Marathos), Biblo (Gubal), Berito (Beirut), Sidone (Saida), Sareptà (Sarafand), Tiro (Sür), Acre, Dor.
Oltre al commercio del legno di Cedro del Libano, allora largamente usato per la fabbricazione delle navi, e dei pigmenti rossi, provenienti esclusivamente dal mar Rosso, si può dire che gli atti di pirateria si potevano considerare come i fornitori delle loro attività commerciali, è noto che nel commercio il prezzo più basso favorisce sempre la vendita dei prodotti, quindi quale merce può essere più conveniente, da quella proveniente da un furto?
È nota anche la loro abitudine iniziale ad entrare nei porti per commerciare, ed esaurita la merce rapire le donne presenti nel porto e fuggire, per poi vendere le prede come schiave.
Ovviamente questo determinò una presa di posizione da parte delle città che commerciavano con loro, le quali, in seguito non riuscendo a perseguire i diretti responsabili dei rapimenti, si premunivano obbligandoli a scaricare la merce e ad allontanare le navi dal porto prima di iniziare la vendita.
In seguito a queste sanzioni i commercianti fenici, allo scopo di agevolare i loro traffici, ritennero opportuno insediarsi stabilmente nelle città porto, allo scopo di offrire una garanzia personale sull’attività delle proprie navi.
Questo segnò la nascita delle colonie, ma anche l’evoluzione delle culture indigene, in quanto i fenici diffondevano in Italia le usanze e i costumi delle allora più proggredite città orientali, dalle quali trasse origine la cultura etrusca.
Ề noto che lo storico greco Polibio, definì gli abitanti delle Alpi come etruschi imbarbariti, ma in realtà allora il concetto di evoluzione culturale non era ancora diffuso, e Polibio non poteva capire che in realtà erano i liguri delle Apuane ad aver subito un processo evolutivo, grazie al contatto con i fenici.
La potenza delle città fenice crebbe in modo incredibile sul finire dell’età del bronzo, in coincidenza del fenomeno legato alle invasioni dei “Popoli del Mare”, un’orda barbarica che aggrediva prevalentemente le ricche città Anatoliche depredandole, senza mai occuparle e creare nuovi stati.
Nessuno allora ha mai saputo spiegare chi fossero i popoli del mare e da dove venissero, e nemmeno oggi nessuno osa formulare un’ipotesi per mancanza di elementi concreti.
Ma in realtà la logica mi sembra più che evidente, i fenici erano i dominatori del mare, e già questo è un sinonimo di popoli del mare, mentre le loro città più importanti avevano decine di colonie sparse per il Mediterraneo, le quali disponevano di ampi retroterra popolati da gente selvaggia, smaniosa di salpare per andare a depredare le città ricche, allo scopo di realizzare un bottino che poi i mercanti fenici avrebbero ricettato.
Certo non esistono reperti archeologici o testi di autori antichi che lo possano testimoniare o fornire una traccia del fenomeno, ma bisogna considerare che oggi stiamo raccogliendo solo piccoli frammenti del nostro passato, pertanto le certezze sono molto difficili da raggiungere, mentre la logica naturale delle cose, mi sembra più che evidente.
Vendere in Spagna quello che si è rapinato in Anatolia o viceversa, era un’azione troppo elementare per non essere compiuta, quindi ritengo che i fenici erano sicuramente da indicare come mandanti e i ricettatori dei popoli del mare.
Tra le colonie fenice, la più famosa e potente fu Cartagine, una città figlia della potentissima Tiro, Sür in fenicio, che significava “Scoglio”, Tyros nelle lingue Anatoliche, il quale richiamava il nome della grande madre Indoeuropea.
Cartagine divenne ancora più potente della madre patria Tiro, da citare anche Tharros in Sardegna, un’altra colonia di Tiro, della quale continuava anche il nome, e che assieme alle altre colonie sarde, controllava i traffici da e verso la Spagna, ragion per cui è lecito pensare che i Sherdana o Shardana, uno dei popoli del mare citati dagli egizi, provenissero proprio dalla Sardegna e fossero al servizio dei fenici.
In Corsica non risulta la presenza di importanti colonie Cartaginesi anche perché inizialmente l’isola era sotto l’influenza dei greci di Focea, una città situata sulla riva anatolica dell’Egeo alla foce del fiume Ermo, sulla penisola che separa il golfo di Smirne da quello di Cuma, i quali per appoggiare i traffici marittimi con Marsiglia che avevano fondato nel 600 a.C., la penisola Iberica e Tartesso, fondarono una colonia in Corsica, che chiamarono Alalia, oggi Aleria.
I focesi disponendo di navi più agili e veloci erano in diretta competizione con il commercio etrusco e cartaginese, soprattutto nei rapporti con i Liguri, Genova per esempio, era un porto sotto la loro influenza tanto che nel 535 a.C., le due potenze aggredirono Alalia con l’intento di distruggerla, ma i greci nonostante l’inferiorità numerica riuscirono a respingere gli aggressori, subendo però la perdita di 40 navi, il che ridusse notevolmente la loro possibilità di controllo del traffico marittimo.
In conseguenza di ciò i focesi fondarono Nizza, sulla costa francese e Elea nei presidi Ascea sulla costa salernitana, con l’evidente scopo di aumentare la presenza militare nel Tirreno.
In seguito a questi eventi, in Sicilia emerse anche la potenza di Siracusa, che creò non pochi problemi ai cartaginesi
E proprio dalla padronanza del mediterraneo esercitato da Tiro e dalle sue colonie che il mare occidentale prese il nome Tirreno, cioè mare di Tiro, quindi considerando la vasta portata del fenomeno legato ai popoli del mare, è impensabile credere che i fenici ne fossero estranei.
È altresì noto che i fenici essendo una casta, non andavano in guerra, ma si affidavano ai mercenari, i quali generalmente erano libici, numidi mauritani, iberi o liguri, una testimonianza di ciò ce la fornisce la prima guerra punica, al termine della quale a causa della sconfitta, Cartagine non era in grado di pagare (o non voleva) il dovuto ai mercenari, i quali si ribellarono e circondata la città, si apprestavano al saccheggio, ma l’arrivo dalla Spagna di nuovi mercenari iberici capovolse la situazione, e i ribelli furono sterminati.
Questo episodio avrà il suo peso anche nella seconda guerra punica, in quanto i liguri francesi si opposero al passaggio di Annibale sulle Alpi e lo attaccarono causandogli notevoli perdite, che poi gli insubri reintegrarono assumendo mercenari dal Nord Europa e lo finanziarono per tutta la durata della II guerra punica.
Lo stesso fece Massinissa il re dei Numidi, il quale memore di quella vicenda, si vendicò alleandosi con Scipione, ed ebbe un ruolo determinante nella sconfitta di Cartagine, che culminò con la battaglia di Zama.
La divinità principale dei fenici era Yam un nume del mare adorato dai cananei, che veniva identificato con un drago a sette teste chiamato “Lotan” che viveva sul monte “Jebel al Aqra”, allora noto come la “Montagna del Vecchio” o Monte “Casio”, vale a dire la montagna sacra a “Cassio”, alias “Zeus”, “Giove”, o “Melquart”, il quale avrebbe preso il posto di Yam dopo che gli dei lo avevano cacciato.
Anche qui si tratta della solita tradizione primordiale vedica, adattata dai teologi elleni (semiti) al culto dei loro dei; infatti Yam non è altro che il drago vedico “Varuna” cacciato dalle divinità asura, Urano per gli elleni, e sostituito con il dio dei fulmini e della pioggia “Indra” alias Cassio, Giove, Zeus, Melquart, ecc.
Quindi Yam fu sostituto con “Melquart” chiamato “Ba’al” sinonimo di Signore ed era figlio di “El”, il dio solare dei semiti e padre dei loro dei.
La città fenicia più importante fu “Sur”, un toponimo che in fenicio significa scoglio, in quanto si trattava di un’isola separata dal continente da uno stretto braccio di mare, tanto che Alessandro Magno pensò bene di riempirlo con le macerie della città costiera, per conquistarla agevolmente.
Sur divenne nota con il nome anatolico Tyros, il quale essendo di origine indoeuropea faceva riferimento alla Grande Madre Minoica Thera, la quale dava il nome anche al vulcano e all’isola omonimi, oggi Santorino, testimonia la precedente occupazione dell’isola da parte degli indoeuropei.
Anche Tyros presenta tracce di una devastazione dovuta a un maremoto provocato dall’esplosione del vulcano Thera avvenuta nel XVII secolo a.C., e un altro maremoto del quale esistono solo testimonianze archeologiche avrebbe colpito l’isola alla fine del XI secolo a.C.
Secondo la tradizione tramandata da “Sanconiatone”, uno storico fenicio vissuto tra il XII e il XIII secolo a.C., e riportata da “Filone da Biblo”, nel I secolo d.C., la città sarebbe stata fondata nel 2800 a.C., da un certo “Usoos”, il quale avrebbe inventato la navigazione in mare e l’abbigliamento con le pelli di animale. Pare che questo Usoos fosse in competizione con il fratello “Hypsuranios.
Anche qui nonostante che le fonti fossero fenice, la vicenda ci rimanda a un tempo molto arcaico, quando gli uomini non si vestivano e non sapevano navigare, mentre i nomi dei due fratelli sono palesemente indoeuropei, e ci rimandano a una forma di cultura di transizione tra la religione ariana a quella ellenica, infatti il nome Hypsuranios richiama fortemente Uranos la divinità primordiale degli elleni creatore dell’universo, ma la presenza del prefisso “Hyps” richiama il cavallo e il suo dio protettore Poseidone.
Ciò potrebbe essere spiegato con il fatto che Uranos il dio del cielo ellenico, corrisponde a Varuna, prima divinità maschile vedica, e primo figlio della grande madre Danu, il quale era signore del cielo e delle acque, poi autoproclamatosi dio dell’universo e per questo scaraventato dalla madre sulla terra, perché tutti potessero calpestarlo.
Mentre il nome di Usoos è composto con il caratteristico suffisso persiano “os” conservato ancora oggi sia nella lingua greca che in quella iberica, nel tempo in cui il prefisso “Us” mi fa pensare a una forma primitiva che indica il Bos Taurus Indra, il quale sostituisce Varuna al fianco della madre Danu
Quindi possiamo identificare Hypsuranios con Yam o Uranos il quale viene riconosciuto dai fenici anche come dio dei cavalli, mentre Usoos potrebbe essere il fratello che spodesterà Uranos, alias Yam o Varuna.
Sicuramente siamo di fronte a una fase iniziale della formazione della teogonia ellenica, nella quale verrà incluso il dio dei micenei Poseidone, e vincitore della Titanomachia, la guerra degli dei olimpi contro i titani, che culminò con l’esplosione del vulcano Thera, al termine della quale la Grande Madre Thera e il marito Uranos furono spodestati in favore di Poseidone, che fu proclamato re degli dei Micenei.
In seguito con l’affermazione della casta ellenica Poseidone sarà sostituito da Zeus, mentre Melquart (Ba’al), alias Usoos prenderà il posto di Yam (Hypsuranios) a Tyros, forse la causa di questo sconvolgimento teologico sarà proprio del maremoto che alla fine del II millennio a.C. distruggerà nuovamente anche l’isola di Tyros e che con ogni probabilità ha segnato anche la fine della civiltà micenea, in favore delle culture pastorali, come quella semita, che maggiormente amava il dio della pioggia, il grande fecondatore dei pascoli e delle mandrie.
Nel secondo millennio a.C., nel mar Egeo i fenomeni tellurici furono veramente numerosi, e pertanto è plausibile che la gente si sia esasperata con Poseidone, il quale veniva indicato come lo scuotitore delle terre, da ciò sarebbe nata la volontà dei popoli egei di ripudiarlo in favore di Zeus, il paredro ellenico dell’indoeuropeo Cassio.
A questo fenomeno si si può collegare la leggenda di Cassiope la regina dei cassiti, la quale fuggendo dall’ira di Poseidone (forse un cataclisma che aveva colpito il mar Egeo), trovò rifugio e salvezza sull’isola di Corcira (Corfù) che da allora divenne sacra a Cassio.
L’isola era ricoperta da querce, alberi sacri al dio dei fulmini, Cassio il cui teonimo era originato dal nome persiano della quercia “Cassianos”, che corrispondeva all’ellenico Zeus, e al latino Jupiter.
Pertanto la leggenda di Cassiope, il cui nome significa:” Colei che vede Cassio” è stata una metafora per convincere la gente che Zeus fosse una divinità più buona di Poseidone, anche perché con i suoi fulmini provocava la pioggia che fertilizzava i campi.
Hypsuranios alias Yam come dice il prefisso Hypsus, era anche il dio dei cavalli, come il miceneo Poseidone, una spiegazione a ciò la possiamo trovare nella cultura celtica, che si è sviluppata nell’epoca post micenea, cioè durante l’età del ferro.
Infatti i celti, che come i micenei erano discendenti dei danai avevano nella loro cultura tre matrone dell’acqua, vale a dire: “Artios”, l’Orsa che domina l’alluvione e la frana, “Sulevia”, l’acqua che disseta e guarisce, ed “Epona”, la dea che compie il miracolo di far galleggiare le cose, e protegge cavalli, poi divenuta anche protettrice della cavalleria romana. Esistevano anche delle divinità delle sorgenti tra i quali: Bormanus Kephisos, Gramnos.
Pertanto possiamo supporre che i primitivi, avendo imparato a navigare molto prima di addomesticare il cavallo, identificavano il cavalcare come il navigare a cavalcioni di un tronco d’albero o di una canoa, da ciò l’accostamento del cavallo alla divinità delle acque Hypsuranios e poi a Poseidone ed Epona.
In ciò bisogna considerare anche la naturale attitudine dei cavalli al galleggiamento, favoriti dall’enorme volume toracico, fenomeno che sicuramente ha colpito la fantasia dei nostri antenati, i quali avrebbero così attribuito alle divinità delle acque, una volontà protettiva nei confronti dei cavalli.
Arados Arwad in fenicio era un’altra città isola molto potente il cui toponimo primitivo era di origine indoeuropea infatti Arados ha come prefisso la radice Arya sinonimo appunto di Aryanna, la Grande Madre primitiva.
L’isola posta davanti alla costa siriana dista circa 3 Km dal porto di Tartus, Antaradus per i fenici, città porto fondata dagli stessi abitanti di Arados per agevolare i collegamenti con il continente, infatti il toponimo Antaradus avrebbe appunto il significato di: “Davanti ad Arados”.
Questa colonia era anche il capolinea di un sentiero che collegava il Mediterraneo con la Bassa Mesopotamia, attraversando la catena montuosa del Libano.
Anche Marathos oggi Amrit, come dimostra l’etimologia, in origine era una città satellite di Arados che in seguito crebbe d’importanza.
Nell’Eneide, Virgilio racconta una leggenda legata alla fondazione di Cartagine, la quale si snoda attorno alla figura di Didone figlia di Belo, a sua volta figlio di Poseidone, la quale è la regina di Tiro con lo zio e marito Sicheo, il quale viene ucciso da Pigmalione, fratello di Didone e ambizioso di diventare re.
Prima di continuare voglio mettere un appunto su Belo, il quale dal nome non poteva essere figlio di Poseidone, ma fare riferimento a Ba’al, epiteto attribuito a Melquart dio dei Cartaginesi, e che gli Italici chiamavano anche “Belo”.
Quindi se mai a Tiro è esistito un re chiamato Belo o Ba’al, la paternità spirituale di questo sovrano sarebbe da attribuire a Ba’al.
Dopo l’omicidio di Sicheo Sidone fugge da Tiro con i nobili a lei fedeli, comunque non dopo essersi procurata una discreta scorta d’oro.
Infatti dopo una lunga peregrinazione nel mediterraneo, Didone sarebbe sbarcata sulle coste libiche, per fondare una nuova città, ma dopo aver rifiutato le proposte di matrimonio del re libico Jarba, per ripicca ricevette dal sovrano tanta terra quanta ne potesse contenere una pelle di porco.
Al che secondo Virgilio, astutamente la regina fece tagliare a strisce sottili una pelle di porco tanto da ricavarne una lunga striscia che gli permetteva di abbracciare tutto il promontorio sul quale è sorta Cartagine.
Nella realtà secondo logica possiamo supporre che il fondatore di Cartagine abbia pagato la terra con una byrsa piena di lingotti d’oro, da ciò il mito della byrsa fatta a strisce
Il fenicio byrsa era un sinonimo di borsa o sacco in pelle, e fu usato dai cartaginesi per dare il nome al primo quartiere fondato sul promontorio acquistato con una byrsa d’oro, e che durante la seconda guerra Punica fu utilizzato anche per nominare alcune basi logistiche di Annibale.
In seguito a Cartagine sbarcherà Enea profugo da Troia del quale la regina si innamorerà, per poi suicidarsi quando lui ripartirà per l’Italia.
Altri autori greci invece raccontano che si sarebbe suicidata per non essere costretta a sposare Jarba.
Oppure si racconta che regnò a lungo, e che alla sua morte Cartagine divenne una repubblica governata da due Sufeti.
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