Da oltre tremila anni gli uomini sono affascinati dai racconti di Omero i quali hanno creato un mito indistruttibile, “La Guerra di Troia”, dal soprannome dato dal cantore a una mitica città che si chiamava “Ilio”, dal nome del suo fondatore, e divenuta famosa nel mondo occidentale con l’appellativo di “Troia” a causa del quale non si trovava alcuna traccia archeologica, se non nella posizione geografica e nel nome di una città storicamente posta all’imbocco dei Dardanelli, che gli ittiti chiamavano Wilusa, un toponimo forse originato dal teonimo Windos, una divinità solare chiamata anche Helios, da cui il nome Ilios, ma anche ltri teonimi, come: El, oppure Baal dai semiti o Beel oppure Beleno dagli europei occidentali, Balor nella tradizione irlandese per poi essere corrotto in Lindo, Ilio o Ilios il nome del mitico fondatore di Troia, e non a caso la divinità protettrice di Troia era un dio solare, che Omero chiamava Apollo, in quanto era la divinità solare adorata dagli elleni che provenivano dalla Siria.
Da citare anche “Wurusemu” dea del sole ittita il cui centro del culto era nella città di “Arinna”, un toponimo che richiama il nome di una divinità della natura che poteva essere Arianna, e quindi abitata anche prima dell’arrivo degli ittiti da un popolo ariano, pertanto possiamo ritenere che Wurusemu fosse una Grande madre primordiale, e non una divinità solare.
Infatti dal toponimo Arinna dovrebbe derivare anche il nome dell’italica Anna “Perenna”, (Anna per sempre), in quanto il teonimo indicava il succedersi all’infinito dei cicli stagionali, che nelle culture matriarcali erano chiamati Anna o Ana.
Siccome è evidente l’interazione del sole nel succedersi dei cicli della natura, mi sembra possibile la presenza di tracce del culto solare, in un tempio sacro a una divinità della terra come anche la fusione di due culti di divinità interattive tra loro.
La continuità culturale dei popoli europei, si può notare anche tra le rare iscrizioni attribuibili alla civiltà di Golasecca, dove emergono nomi come Uini, Uenia e Vin, sicuramente originati dai teonomi solari Ilios Helios e Widos mentre a Châtillon-sur-Senne in Borgogna, tra i resti di un tempio galloromano, è stata ritrovata una dedica ad Apollo Windonnus, pegno di un voto esaudito a un certo Uillo. che ci dimostra anche l’universalità di questi teonimi un’unica entità solare.
Da questi nominativi si sarebbero originati i britannici Will e Wiliam a testimonianza del forte legame religioso tra questi nomi e la divinità solare
Il racconto di Omero già privo di riscontri archeologici inficia il suo valore storico anche per l’utilizzo di teonimi completamente estranei all’epoca micenea, come Zeus per esempio il quale non era ancora il re degli dei, Hera, una Grande Madre declassata a sorella di Zeus e Poseidone, Apollo era una divinità greca ai tempi di Omero, ma in epoca micenea era riconducibile a Hubal una divinità lunare pre islamica, adorata dai semiti, ed era adorato anche da Abramo nella città di Carre, ma il suo idolo raffigurava un arciere al quale estraendo una freccia dalla faretra emetteva un oracolo, una tradizione riconducibile ad Apollo, quindi è possibile una corruzione per difetto di pronuncia che trasforma il prefisso Hub in Ap e il suffisso al in ollo, ma probabilmente lo stesso nome di Hubal potrebbe essersi formato con la fusione del teonimo Baal con l’articolo che lo precedeva.
La fusione di un articolo con un nome poteva avvenire facilmente nel passaggio dalla scrittura sillabica a quella alfabetica.
Athena era una divinità primitiva e nume tutelare di Atene e dell’Attica anche durante l’età classica, ma che nulla aveva a che vedere con gli elleni, come anche Afrodite era una divinità primitiva di origine fenicia, era adorata a Cipro, ma come per Athena non risulta che avesse estimatori in Anatolia.
Anche Cassandra la sacerdotessa, di Apollo ha un nome estraneo al contesto miceneo e anatolico, infatti il nome Cassandra calzerebbe a pennello per una sacerdotessa di Cassio, in quanto è composto dal nome indoeuropeo della quercia Cassano-s e dal sostantivo greco “Andron”, sinonimo di passaggio, il che significherebbe “Colei che Passa tra le Querce”, un rito che compivano le sacerdotesse di Cassio e Zeus, mentre l’albero sacro ad Apollo e alle divinità solari era il lauro.
Quindi risulta evidente che si tratta di un personaggio inventato da Omero, come anche il fatto che fosse una profetessa inascoltata, infatti questa era la caratteristica essenziale delle mezzane, cioè donne mute, che con i loro mugugni trasmettevano al sacerdote, quello che per lui era il volere degli dei, senza che le mezzane potessero contraddirlo.
Durante il secondo millennio a.C., l’Anatolia era dominata dagli ittiti, i quali regnavano sugli altipiani ed avevano un rapporto feudatario con i regnanti delle città dei bassipiani, e tra i documenti ittiti finora ritrovati spunta il nome di Wilusa, che secondo gli archeologi, in base alla posizione geografica e alla descrizione del territorio circostante fatta da Omero, sarebbe la Ilio dell’Iliade, divenuta famosa con il soprannome di Troia.
Dalle tavolette ittite oltre al nome di Wilusa emerge anche il nome del suo principe, Alaksandu il quale nel 1285 a.C., stipula un trattato di amicizia con l’imperatore ittita Muwatalli II.
Oltre all’omerica Ilio che in lingua locale poteva anche essere Wilio, anche il nome del suo principe rientra nella tradizione omerica, infatti Alessandro è uno dei nomi che Omero attribuisce a Paride, il protagonista che con Elena è la causa della guerra
Ora, una delle domande che si pongono gli studiosi è perché Omero quando si riferisce a Paride a volte lo chiama Alessandro, questo può essere spiegato dal fatto che i due nomi hanno praticamente lo stesso significato, Paride è sinonimo di: “Battagliero”, mentre Alessandro significa: “Uomo che Protegge”, quindi mi sembra plausibile che fossero dei sinonimi di due lingue o dialetti diversi.
Secondo documenti ittiti, all’epoca del trattato con Muwatalli II, Alaksandu era in lotta con un certo Piyama-Radu, il quale si aggirava in continuazione tra le città degli achei per istigarle alla guerra contro Wilusa, tanto che a un certo punto Muwatalli II si rivolgerà alle città elleniche chiedendo l’estradizione di Piyama-Radu.
Chi fosse Piyama-Radu e il motivo della contesa le tavolette ittite, finora decifrate non ne fanno menzione, ma la richiesta di estradizione ci dice chiaramente che non era un ellenico, pertanto poteva essere solo un nobile anatolico che evidentemente tentava di riconquistare un regno perduto.
Il nome del personaggio è abbastanza curioso, infatti Piyama è una voce di origine indiana e indicava un pantalone in pelle indossato per cavalcare a pelo, lemma che poi gli inglesi hanno adottato per indicare il pigiama, e anche il nome Radu sembra indicare il pelo.
Quindi il personaggio omerico, Peleo, potrebbe essere ispirato da Piyama Radu, un nome che significava: cavalca senza sella, una pratica allora sconosciuta agli elleni.
Etimologicamente Radu sarebbe la variante rumena del bulgaro Radko nella cui lingua presenta anche la variante “Rajno”, da cui Raja, forma primitiva indoeuropea per indicare un re. Quindi un nome di origine tracia che testimonia i legami culturali tra i traci e i Troiani.
Quindi Piyama Radu era il padre di Achille, ripudiato dalla moglie, la quale si opponeva alla guerra contro Troia, e che farà di tutto per impedire al figlio di partecipare al conflitto.
Ora, dato per scontato che il motivo del contendere tra Alaksandu e Piyama Radu, fosse la città di Ilio, che grazie alla sua posizione dominante sullo stretto dei Dardanelli doveva essere molto ricca, ci si domanda cosa c’entra Elena?
Per compredere l’antefatto che ha portato alla guerra, bisogna considerare che i trattati di alleanza o vassallaggio venivano garantiti dai matrimoni, e nel caso di Ilio dobbiamo supporre che il principe della città si sia sposato con una figlia o sorella dell’imperatore ittita, la quale diventava il suo occhio vigile sulla lealtà del vassallo, pertanto, in accordo con l’imperatore, aveva il potere di destituire il principe regnante o di rompere un’alleanza.
Questo spiega il potere di una improvabile Elena omerica, regina di una città come Sparta tradizionalmente maschilista e dominata dalla casta guerriera.
Quindi possiamo supporre che prima del 1285 a.C., Piyama-Radu era il principe di Ilio, il quale secondo informazioni raccolte dagli Ittiti, complottava con gli elleni che allora avevano occupato la fertilissima terra dei danai, chiamata Cilicia, e spingevano per penetrare nel resto dell’Anatolia.
Quindi durante una sua assenza (come il Menelao omerico) sarebbe stato esautorato dal potere per volontà della moglie e sostituito con Alaksandu, evento che sarebbe poi stato ratificato da Muwatalli con il patto di alleanza del 1285.
Come nella tradizione omerica dopo dieci anni Piyama-Radu riesce a conquistare Wilusa, grazie al fatto che Muwatalli II e i suoi alleati entreranno in guerra contro l’Egitto, battaglia di Quadesh 1274 a.C., ma sarà soltanto una effimera conquista, perché al ritorno da Quadesh, Muwatalli II riconquisterà la città e rimetterà Alaksandu sul trono.
Se la destituzione di Piyama-Radu sia stata una scelta politica o il capriccio di una donna non lo sapremo mai, sempre che tra le migliaia di tavolette ancora da decifrare non si nasconda qualche altra notizia.
Mentre il mitico cavallo di Troia potrebbe essere una metafora suggerita dal fatto che dopo la partenza dei guerrieri di Ilio per la guerra di Quadesh, una fazione di cittadini fedeli a Piyama-Radu potrebbe aver propugnato il suo ritorno al potere spalancandogli le porte della città.
Quindi al ritorno di Alaxandu i molti abitanti di Wilusa che avevano spalacato le porte a Piyama Radu, dovranno fuggire per diventare esuli lungo le coste del mediterraneo.
Achille è un nome originato dal teonimo Acheloo una divinità fluviale indoeuropea, che dava il nome all’omonimo fiume, comunque l’eroe, come anche il figlio Pirro aveva i capelli rossi, una caratteristica che allora distingueva gli indoeuropei dai semiti e quindi dagli elleni, ed in oltre la madre Teti, a dimostrazione che fosse coinvolta nella disputa tra i due principi, si opponeva al fatto che Achille partecipasse alla guerra, tanto che per essere sicura della sua sopravvivenza gli aveva regalato un’armatura forgiata nel fuoco dal dio Vulcano, o Efesto, da ciò il mito dell’eroe reso invulnerabile dalla madre che lo avrebbe arrostito nel fuoco, per poi farlo rinvenire nell’acqua, vale a dire: il processo caratteristico per indurire il ferro, allora conosciuto solo dagli Ittiti. La metallurgia del ferro era un segreto conosciuto e custodito solo dai sacerdoti ittiti fino alla caduta dell’impero, pertanto era normale che una principessa troiana potesse disporre di questi armi; e possedere un’armatura di ferro, la quale contro le armi di bronzo, costituiva un grosso vantaggio
Secondo il mito, all’età di 9 anni, in seguito a una profezia nefasta dell’indovino troiano Calcante, la madre lo nascose sull’isola di Sciro presso la corte di re Licomede camuffandolo da donna, chiamata Pirra, sinonimo di Fulva, per i suoi capelli rossi o biondo ardenti.
La cosa non gli impedì d’innamorarsi di Deidamia, figlia di Licomede che sposò e con la quale concepì un figlio chiamato Neottolemo ma soprannominato Pirro. A stanare Achille ci riuscì dopo 9 anni l’astuto Ulisse, che mettendo in dubbio il suo onore lo costrinse a rivelarsi.
Oltre all’abbandono del marito, un’altra analogia tra Elena e Teti consisteva nel fatto che la nereide come l’omerica Elena, era bellissima e contesa tra tutti gli dei, con Zeus e Poseidone in competizione davanti a tutti, ma infine una profezia nefasta per gli dei olimpi, li indusse ad imporle di sposare un mortale.
Quindi la mia ipotesi, vede Achille figlio di Piyama Radu e della regina di Ilios, o Wilusa, i quali ribellatisi alla signoria dell’imperatore ittita Muwatalli II, furono cacciati dalla città per volere della regina, deus ex machina dell’imperatore.
Sempre dalle tavolette ittite, sappiamo che Piyama-Radu era suocero di un certo “Atpa”, il quale era reggente della città di “Millawata”, per conto degli Ahhiyawa (nome ittita degli achei), quindi lo possiamo identificare con l’omerico Agamennone, al quale Achille si dovette sottomettere, per non rompere l’alleanza con i potenti alleati, e possiamo supporre che il matrimonio di Atpa con la figlia di Piyama, Radu, sia stato la causa che ha indotto Muwatalli a destituire Piyama Radu dal regno di Wilusa, in quanto avrebbe ritenuto il matrimonio come un atto ostile, che portava ad una possibile alleanza con gli elleni, allora ostili all’impero degli altipiani.
Quindi Criseide patronimico di Astinome figlia di Criseo e cugina di Ettore primogenito di Priamo, nella realtà potrebbe essere stata la figlia di Piyama Radu concessa in sposa a Atpa contro la volontà della madre e dell’imperatore ittita, il quale si adopererà per riscattare la fanciulla, com’era nella volontà dell’omerico Criseo e a pacificare i rapporti con gli elleni, i quali dopo la restituzione di Criseide, toglieranno l’assedio riprendendosi Briseide patronimico di Ippodamia figlia di Briseo, una donna dal nome indoeuropeo andata in sposa a Minete, re di Cilicia, poi ucciso da Achille secondo il mito, ma in realtà Piyama Radu potrebbe aver stabilito con Atpa un doppio legame di parentela sposando anche il figlio con una principessa ahhiyawa in rispetto al doppio legame familiare spesso sancito nei trattati di alleanza.
La Cilicia era l’antica terra dei danai, i fondatori o i continuatori della cultura cardiale, una fertile pianura situata ai piedi dei monti Tauri, che in seguito fu colonizzata dai pastor elleni, i quali accoppiandosi con le donne degli ultimi danai rimasti, hanno continuato ad identificarsi come figli di Danu, quindi si può ritenere che Piyama Radu avesse stipulato ben due contratti matrimonili con i principi elleni.
Ma i piani di Piyama Radu saranno scombinati da una rivolta contro il faraone Ramsete II, della città semita di Quadesh, che indurrà i due eserciti a pacificarsi e allearsi contro il comune nemico egiziano, allo scopo i far fronte alla temutissima potenza egiziana, lasciando così via libera ai partigiani di Piyama Radu, i quali fungeranno da cavallo di Troia, spalancando le porte della città al principe ribelle.
Nei vari miti si racconta di Elena e Menelao che al ritorno da Troia vengono spinti in Egitto da una tempesta, mentre altre storie parlano di Elena e Paride, che in un primo momento fuggono in Egitto, questa almeno sembra corrispondere al fatto che per sfuggire a Piyama Radu, i due siano partiti anche loro per Quadesh.
Millawata era la città più importante della Caria, posta al termine di una lunga carovaniera che arrivava dalla Mesopotamia, e quindi favoriva il flusso di semiti che con le loro greggi devastano i campi coltivati dagli indoeuropei, e per questo fu a lungo contesa tra gli ittiti e gli ahhiyawa, nome ittita degli achei, i quali dopo il crollo dell’impero degli altipiani ne presero definitivamente possesso.
Da ricordare la carestia che nello stesso periodo colpì la Lidia costringendo metà della sua popolazione a migrare in Italia.
In seguito a questo evento Millawata sarà chiamata “Miletos” (1000 o 1100 a.C., circa), mentre la regione Caria diventerà la Ionia.
Quindi Omero al quale vengono attribuite origini ioniche (questa è la lingua delle versioni originali dei suoi poemi) si sarebbe ispirato a divinità e città della Grecia classica, mentre in realtà i nemici di Ilio non erano greci ma un popolo proveniente dalla Mesopotamia, molto probabilmente di etnia semita, primitivo adoratore di una divinità primordiale del sole, chiamato: El, dal cui teonimo sarebbe nato il nome dell’etnia ellenica: “elleni”, vale a dire adoratori o figli di El, e il nome Elena.
Ad Ugarit una delle città più antiche VI mila a.C., situata al confine con l’impero ittita, El era adorato con il nome di Kumarbi, il quale era il padre del dio del cielo e della tempesta “Teshup”, teonimo che sarà grecizzato in Zeus, quindi possiamo supporre che nella tradizione ellenica Eli diventerà Crono, il padre di Zeus
Rino Sommaruga
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