A partire del secolo scorso l’uomo si è affidato all’archeologia nella speranza di trovare delle conferme ai racconti biblici, purtroppo, quel poco che l’archeologia è riuscita a dimostrare sconfessa la Bibbia, in quanto le Sue tradizioni sono solo il frutto di eventi avvenuti in tempi arcaici tramandati in documenti compilati con scritture geroglifiche o cuneiformi, conservati nella biblioteca di Assurbanipal, alla quale i sacerdoti di Gerusalemme ebbero accesso all’epoca dell’esilio a Babilonia, durante il quale vennero anche a contatto con religioni monoteiste persiane di origine vedica, dalle quali furono influenzate.
Per esempio la creazione dell’uomo dal fango non fa altro che ricalcare il mito della Grande Madre Terra, creatrice del mondo, infatti già nella tradizione sumera, il primo uomo, chiamato “ada-mu” che significava: “padre mio” è creato da un gruppo di dei chiamati Anunnaki, i figli del cielo e della terra, An il cielo e Ki la terra, la prima generazione di dei sumeri paragonabile ai danava della cultura persiana figli di Danu la terra e Varuna figlio partogenetico di Danu e signore del cielo e delle acque, e agli elleni Gea la terra e Urano il cielo.
Infatti Enki il creatore, postosi alla guida degli Anunnaki, fa apparire il Sigen e il Sigsar (le ovaie), sui quali allunga un braccio e fa crescere un feto, al quale impone parte della propria intelligenza, poi si rivolse alla madre “nam-ma”, (Inanna) e la incarica di mescolare la fertile creta dell’Abisso, aiutata da Sigen e Sigsar, mentre gli altri dei l’avrebbero aiutata a partorire.
Quindi la tradizione sumera ripropone il tema iniziale vedico, con il figlio, re degli dei, che si accoppia con la sottomessa Grande Madre Terra.
Nella lingua ebraica per assonanza il nome Adamo è considerato il maschile di adàmà, sinonimo di terra, quindi appare evidente il sincretismo tra le due leggende sulla creazione dell’uomo.
Anche la cacciata dal Paradiso dell’angelo ribelle Satana, non fa altro che riprendere una delle più antiche tradizioni vediche, che vede la Grande Madre scaraventare sulla terra il serpente Ofione (la costellazione del Serpentario) affinché tutti potessero calpestarlo, perchè aveva osato proclamarsi re del mondo, e non a caso il diavolo biblico si presenta a Eva nella forma di serpente.
Infatti il mito del serpente quale personificazione del demonio, si trasmette in tutte le religioni.
Satana entra nella tradizione ebraica durante l’esilio babilonese a causa dell’influenza sui sacerdoti ebrei delle religioni monoteiste di origine persiana, praticate dai caldei e dai cananei, come il Mitraismo e il Mazdeismo, il quale per esempio indicava “Angra Mainyu”, come uno spirito del male, cacciato dal paradiso da Mazdà per essersi ribellato.
Angra Mainyu era identificato dai caldei e dalle altre religioni persiane anche con il nome di Ahreman, ed entrambi erano considerati re dei Daèva, (danava) che l’induismo aveva declassato a una schiera di demoni ribelli. Appare evidente il passaggio per difetto di pronuncia da daèva a diavolo.
Il teonimo Ahreman richiama la cultura ariana e il loro dio Varuna, figlio della Grande Madre Danu (o Ariana), i cui figli costituivano la prima casta divina, chiamata danava. E Varuna dopo essersi proclamato re al posto della madre, venne destituito dal fratello Indra, che lo declassò a demone, re dei naga, spiriti malvagi, metà uomo e metà serpente.
L’induismo era una casta di guerrieri cacciatori e pastori proveniente dalla steppa, della quale facevano parte sia gli ariani che i semiti come anche gli zingari gli slavi e gli altri popoli del continente euroasiatico, i quali per natura non si insediavano in un posto fisso, e conoscevano solo la legge del più forte, quindi non avevano regole civili e consideravano legittimo depredare i più deboli, cioè i pacifici agricoltori, i quali si difendevano fondando città fortificate nelle quali era più facile proteggere il raccolto e le famiglie.
Da qui la nascita di regole che sovraintendevano alla civile convivenza nelle prime società di uomini, che erano costretti ad interagire per il comune interesse.
Quindi tutta l’umanità era coinvolta in una situazione di continua agitazione che sembra essere esemplificata dal monito bibblico: “Nessuno tocchi Caino”.
Infatti nella metafora di Caino e Abele la bibbia ci rimanda all’ostilità dei pastori verso i contadini, e viceversa invertendo però il ruolo di preda e predatore, affermando cioè che il ricco Abele era un allevatore quindi pastore mentre il primogenito Caino faceva il coltivatore, e per questo era più povero e quindi non in grado di offrire doni pregiati a Dio.
Nessuno tocchi Caino è la frase che la bibbia, scritta dai semiti, mette in bocca a Dio quando hanno volute darsi leggi proprie approvate dal loro Dio, che li liberava dall’odiosa cultura indoeuropea, e non a caso i giudei concedono la grazia a Barabba, il profanatore di templi pagani, che però faceva “offerte votive” al tempio di Gerusalemme, mentre non ha nessuna pietà per Gesù, che predicava la pace e l’uguaglianza tra gli uomini.
A parte la considerazione moderna, secondo la quale la benevolenza divina non dipende dalla generosità dei fedeli, la metafora di Caino e Abele entra in contrasto con le risultanze storiche ed archeologiche, in quanto è attestato che l’uomo iniziò ad allevare gli animali prima del 10.000 a.C., mentre l’agricoltura si diffuse a partire dal 7.000 a.C., con la civiltà di Harappa (valle dell’Indo) e si espanse attraverso la mezzaluna fertile in direzione del Mediterraneo e della Mesopotamia, quindi il primogenito Caino avrebbe dovuto essere il pastore, mentre Abele il contadino, il quale avrebbe potuto barattare i frutti dei campi con doni pregiati da offrire in sacrificio.
La contraddizione con il racconto biblico nasce dal fatto che queste città fondate sull’agricoltura producevano ricchezza, mentre la bibbia afferma che Caino era povero proprio perché contadino.
Ovviamente la ricchezza degli agricoltori attirava l’attenzione dei cacciatori e degli allevatori con i quali i contadini scambiavano le granaglie con il latte e la carne, e pertanto i pastori e i cacciatori iniziarono a introdursi in queste società, per godere anche loro del benessere che producevano, ma accettando di malincuore le loro leggi, creavano di conseguenza un certo scompiglio, proprio per via della loro natura, che conosceva solo la legge del più forte.
Quindi anche Caino se avesse voluto, poteva barattare i suoi prodotti con un animale da offrire in sacrificio a Dio, pertanto risulta innegabile il suo egoismo e la faziosità connivente degli estensori della bibbia, nei confronti dei prepotenti.
Nonostante che lo sviluppo dell’agricoltura sia iniziata nella valle dell’Indo la prima regione a beneficiarne intensamente è la Mesopotamia, grazie all’insediamento dei Sumeri, una popolazione peoveniente proprio dalla valle dell’Indo, la quale essendo di indole pacifica si serviva dei pastori semiti, molto abili nel maneggiare le armi, per la difesa del territorio, ma anhe come servi e operai.
La ricchezza della società sumera ha richiamato dal deserto arabico molti nomadi hapiru, come li chiamavano gli egizi, che alla fine hanno portato i semiti a diventare una larga maggioranza tra la popolazione, e quindi ad impadronirsi della ricca Mesopotamia con gli akkadi, la tribù semita più antica presente in Siria e alla nascita delle prime leggi della tradizione semita.
Infatti la società civile non è figlia della bibbia, e i Dieci Comandamenti non sono altro che delle semplici regolette già in uso nel mondo civile, ma che evidentemente il popolo rifiutava perché facevano riferimento a divinità che loro non riconoscevano.
Ne è un esempio la stele di Hammurabi risalente al 1800 a.C., oggi esposta al Louvre di Parigi, un monolite in diorite nera alto 2,25 metri sul quale è sovrapposto un rilievo nel quale appare Hammurabi che rende omaggio al dio del sole e della giustizia Samash, il quale, seduto sul trono gli porge il codice delle leggi, mentre nella parte sottostante sono incise in lingua accadica (quindi semita), ma ancora fortemente derivata dal sumero, tutte le leggi che regolavano la vita sociale del popolo.
Nella stele sono riportate 282 clausole legali che riguardano il diritto costituzionale, immobiliare, matrimoniale, obbligazioni tra creditore e debitore, successione a causa di morte, le locazioni, l’allevamento del bestiame, la schiavitù e il diritto penale, compresa la fatidica legge del taglione.
Si tratta di leggi di origine sumera riprese da una tavola (spezzata in due parti) ancora più antica, 2100 a.C. detta codice di Ur Nammu, il cui stato di conservazione non ha permesso una lettura completa del contenuto, ma grazie ai frammenti di altre tavolette, è stato possibile il riconoscimento di almeno 40 leggi sulle 57 individuate.
Anche il nome del primogenito di Mosè è in contrasto con la tradizione biblica, infatti Gherson, che secondo il ricordo biblico significa straniero, è un tipico nome indoeuropeo, che fa riferimento a una divinità taurina chiamata Cernunnos adorato dai celti e nel Chersoneso, ed anche il figlio di Gherson aveva un nome indoeuropeo, infatti si chiamava Shebuel il nome del sebuino, il bue sacro per eccellenza della cultura vedica, il Bos indicus primigenius, oggi estinto, chiamato anche Zebù; si tratta di nomi oggi utilizzati anche per i bovini e i bufali).
Questo dimostra che Ietro e i madianiti, dei quali il suocero di Mosè era sacerdote, non erano semiti ma una tribù nomade di cultura Indoeuropea, che si aggirava tra il deserto arabico e le montagne del Sinai, ciò spiegherebbe l’avversità del popolo d’Israele verso Sefora, moglie di Mosè, e chiarirebbe anche la vicenda dell’adorazione del vitello d’oro.
Infatti prima di salire sul Sinai a chiedere la Legge, Mosè incontra il suocero Ietro che gli riporta la moglie e i figli, i quali erano rimasti al sicuro con il nonno, quindi si presume che la tribù dei madianiti si sia unita al popolo dell’esodo.
Da ciò l’adorazione del vitello d’oro e l’ira di Mosè nel constatare che i suoi figli cresciuti nella casa del suocero adoravano un altro dio; infatti non saranno loro a continuare l’opera del padre, ma il più fidato Giosuè.
In particolare il nome del secondogenito di Mosè può sembrare in contraddizione con il mio ragionamento, infatti Eliezer è un nome elohista e si riferisce a El una divinità solare adorata dai semiti, ma bisogna considerare che il giovane è nato e cresciuto nella casa di un sacerdote di Gherson, con il padre impegnato a liberare il suo popolo, quindi anche se portava il nome di El, nella sua formazione culturale è stato influenzato dall’ambiente in cui è cresciuto.
Le contraddizioni sui nomi ci dimostrano che comunque Mosè adorava una divinità solare, mentre lo Yahweh degli ebrei è un’entità spirituale adorata da una piccola comunità israelita che pascolava le sue greggi sul monte Casio, la Montagna del Vecchio, Giove Cassio o Zeus, figli di El.
Anche la salita sul monte Sinai per ottenere la legge da dio è un atto, puramente formale per attribuire agli occhi del popolo una volontà divina al rispetto delle leggi.
Anche il tema della mela proibita sembra ispirato da quello che gli studiosi di tutto il mondo hanno definito: “Il Sigillo della Tentazione”, si tratta di un cilindro matrice di stampa risalente al 3500 a.C., ritrovato tra i ruderi della biblioteca di Assurbanipal, e attualmente esposto al British museum di Londra. Il cilindro imprime un’immagine che agli occhi di un cristiano potrebbe sembrare una rappresentazione del peccato originale, in realtà nella tradizione sumera quel sigillo era il simbolo della fecondazione, e rappresentava l’incontro tra la dea sumera dell’amore “Inanna”, (nam-ma) e il dio della fertilità “Dumuzi”, ricorrenza che veniva celebrata ogni primo giorno di primavera.
Nell’immagine, tra le due divinità è presente un albero con i frutti, il quale rappresenta la vita che scaturisce dal loro incontro, mentre alle spalle della dea appare un serpente, il quale non era altro che il simbolo che identificava Inanna come la “Grande Madre”, un retaggio paleolitico, di quando la dea si trasformò in serpente per accoppiarsi con il figlio partogenetico Ofione, identificato con la costellazione del sepentario, poi sostituito dal toro, che per i sumeri era Dumuzi.
La tradizione del serpente e del toro fu continuata tra i celti con Cernunnos, il dio della fertilità dalle sembianze di toro e le corna da cervo (simbolo della rigenerazione), il quale veniva raffigurato con un serpente tatuato sul braccio. È probabile che quel tatuaggio simboleggiasse proprio l’aver calpestato il serpente.
Due serpenti attorcigliati a un bastone formavano anche il simbolo della protezione divina sugli ambasciatori, riconosciuto da tutti, i romani lo chiamavano caduceo ed era anche il simbolo del dio Mercurio, e pure i re primitivi lo usavano come scettro, in quanto più il sepente era grosso e pericoloso, maggiore era la forza e la protezione divina del re.
Anche la tradizione ebraica sulla mitica torre di Babele per esempio, è un’invenzione biblica, in quanto è tuttora esistente anche se già diroccata al tempo dell’esilio; infatti, la sua costruzione rientrava nella tradizione sumera delle ziqqurat, torri sacre che dovevano attirare la protezione divina sulla città, di conseguenza Babele che era la città più ricca poté permettersi si costruire la ziqqurat più alta.
Lo stesso si può dire della diversificazione delle lingue, Babele era la città più ricca perché era al centro dei commerci, pertanto era frequentata e abitata da mercanti provenienti da ogni parte del mondo e conseguentemente parlavano lingue diverse.
Anche il tema della mela proibita sembra ispirato da quello che gli studiosi di tutto il mondo hanno definito: “Il Sigillo della Tentazione”, si tratta di un cilindro matrice di stampa, risalente al 3500 a.C., ritrovato tra i ruderi della biblioteca di Assurbanipal, e attualmente esposto al British museum di Londra.
Il cilindro imprime un’immagine che agli occhi di un semita potrebbe sembrare una rappresentazione del peccato originale, in realtà nella tradizione sumera quel sigillo era il simbolo della fecondazione, e rappresentava l’incontro tra la dea sumera dell’amore “Inanna”, (nam-ma) e il dio della fertilità “Dumuzi”, ricorrenza che veniva celebrata ogni primo giorno di primavera.
Nell’immagine, tra le due divinità è presente un albero con i frutti, il quale rappresenta la vita che scaturisce dal loro incontro, mentre alle spalle della dea appare un serpente, il quale non era altro che il simbolo che identificava Inanna come la “Grande Madre”, un retaggio paleolitico, di quando la dea si trasformò in serpente per accoppiarsi con il figlio partogenetico Ofione, identificato con la costellazione del sepentario, poi sostituito dal toro, che per i sumeri era Dumuzi.
La tradizione del serpente e del toro fu continuata tra i celti con Cernunnos, il dio della fertilità dalle sembianze di toro e le corna da cervo (simbolo della rigenerazione), il quale veniva raffigurato con un serpente tatuato sul braccio. È probabile che quel tatuaggio simboleggiasse proprio l’aver calpestato il serpente.
Anche se il serpente era diventato l’incarnazione del demone, la sua immagine divenne il simbolo della protezione divina simbolo di potenza.
Due serpenti attorcigliati a un bastone formavano anche il simbolo della protezione divina sugli ambasciatori, riconosciuto da tutti, i romani lo chiamavano caduceo ed era anche il simbolo del dio Mercurio, e pure i re primitivi lo usavano come scettro, in quanto più il sepente era grosso e pericoloso, maggiore era la forza e la protezione divina sul re.
Al caduceo si può collegare anche la leggenda di Mosè secondo la quale il Liberatore ritorna in Egitto nonostante la condanna a morte e il suo bastone si trasforma in un serpente che divora i sepenti di Amon.
La spartizione delle acque è un fenomeno naturale causato dall’associazione degli effetti del vento, con l’abbassarsi del livello del mare durante la bassa la bassa marea, che si manifesta quotidianamente in Normandia e alle foci dei fiumi nell’alto Adriatico, dove emergono cumuli di sabbia abitualmente sommersi, che possono essere utilizzati come ponte da chi lconosce la loro esistenza, ma provocano il rischi di annegamento a chi prova ad attraversarli quano cessa il vento o ritorna l’alta marea.
Anche la distruzione di Gerico trova elementi archeologici contrastanti, infatti risulta che la città sarebbe stata distrutta nel XIV secolo e rimase disabitata fino al IX secolo a.C. quando il suo territorio venne inglobato nel regno d’Israele.
Prima della sua distruzione Gerico era una città molto florida, ed era governata da una casta guerriera che aveva adottato i primi carri da guerra trainati da cavalli, il che mi fa supporre che fossero Mitanni una popolazione indoeuropea proveniente dalla steppa trans caucasica.
Infatti l’addomesticamento del cavallo avvenuto, nell’area caucasica all’inizio del secondo millennio a.C., aveva cambiato i rapporti di forza tra i vari eserciti, e di questo ne trassero grande giovamento i mitanni, e gli ittiiti i quali erano riusciti a conquistare l’alta Mesopotamia, e l’Egitto.
Pertanto osservando che anche gli Hiksos, nome con il quale gli egizi chiamavano i conquistatori del Delta nilotico, usavanoi carri da guerra trainati dai cavalli, nello stesso periodo di massimo splendore di Gerico, mi fa considerare l’ipotesi che provenissero proprio dalla città cananea, o che Gerico fosse una loro alleata quindi la sua distruzione rientrerebbe negli eventi che portarono alla cacciata degli Hyksos, ad opera del faraone Ahmose I, il quale fondò la XVIII dinastia.
Quindi al tempo dell’esodo Gerico era già stata distrutta e pertanto attorno al personaggio Giosuè si apre un vuoto storico incolmabile, che i protagonisti successivi a Mosè hanno riempito di millanterie o equivoci, generati forse dall’affinità etimologica tra il nome di Mosè e quello del faraone Ahmose, ma anche con quello del fratello maggiore Kamose, il faraone che iniziò la guerra contro gli Hiksos e che morì in battaglia dopo solo cinque anni di regno, prima della vittoria finale ottenuta da Ahmose.
In oltre l’età di 110 anni e la mancanza di figli e di successori testimoniano il vuoto storico che divide il popolo dell’esodo dallo stato storico di Israele, e il tentativo di avvicinare il personaggio Giosuè all’epoca storica.
Ovviamente un territorio fertile come la terra di Canaan non è rimasto disabitato per oltre 3 secoli, certamente il sito era frequentato da pastori e nomadi, ma sicuramente come ritorsione verso gli hyksos è probabile che Ahmose abbia posto il divieto di ricostruire la città, ragion per cui il popolo dell’esodo, quando arrivò nella terra di Canaan trovò le mura delle città già abbattute; quindi da ciò sarebbe nato il mito delle mura abbattute dagli angeli, e dal racconto tramandato per generazioni tra i pastori indigeni, sarebbe emerso il nome di Kamose, il faraone morto prima della conquista egiziana di Gerico, che gli israeliti avrebbero confuso con quello di Mosè.
Quindi gli israeliti si sarebbero insediati in un territorio sottoposto al potere del faraone, e la prova di ciò ce la fornisce proprio il faraone Merenptah, quando nel 1221 a.C., nel terzo anno del Suo regno fu costretto a portare le armi nel Retenu, una regione al confine dell’impero, composta dagli attuali Libano, Palestina e parte della Giordania e della Siria, dove esistevano solo città stato, tributarie del faraone, che periodicamente si ribellavano.
Al ritorno della spedizione punitiva Merenptah fece incidere una stele celebrativa, esposta nel tempio di Luxor, nella quale tra l’altro elencava le città e le tribù punite, dove tra l’altro si legge: “Israel è desolata e non esiste più il Suo seme”.
Si tratta della prima testimonianza storica dell’esistenza dello stato di Israele e ci dimostra anche la totale sottomissione di quel territorio al regno d’Egitto.
Da notare che la presunta data di morte di Giosuè 1245 a.C., precede di 24 anni la stele di Merenptah e succede di 29 anni (1274 a.C.) al passaggio del faraone Ramsete II, che si recava a Quadesh, dove avrebbe combattuto contro gli ittiti, i quali nel frattempo avevano sostituito i mitanni nell’opposizione all’espansionismo egiziano.
Quindi dalle date degli eventi storici ufficialmente accertati possiamo avere la certezza che nel XIII secolo a.C., la cananea era sottoposta al potere del faraone, come anche nel XIV secolo, nel corso del quale non si verificarono eventi che potessero giustificare la distruzione di Gerico, quindi mi sembra più logico pensare al XV secolo e al regno di Amenophis II, quando gli egiziani dovettero combattere continuamente contro città ribelli istigate e aiutate dai mitanni, i quali alla fine furono sconfitti definitivamente.
Da notare che il padre e il figlio di Amenophis si chiamavano Thutmose un nome dove si ripete la radice “mose”, la quale nella lingua egizia avrebbe avuto il significato di “nato”, si trattava di una radice usatissima nella formazione dei nomi durante la XVIII dinastia.
Gerico verrà ricostruita nel IX secolo a. C., nel corso della XXI dinastia, periodo durante il quale il regno d’Egitto era in pieno declino e le ribellioni nel Retenu rimanevano spesso impunite.
La stele di Merenptah, per quanto possa essere frutto dell’enfatizzazione degli eventi, tipica dei regnanti, oltre ad essere la prima testimonianza storica dell’esistenza di una città o tribù israelita, ci dice anche che gli israeliti, pur avendo fondato una città stato, erano tributari del faraone, e quindi la vicenda dell’esodo va rivista completamente, perché a questo punto si può ipotizzare che l’esodo non fu una fuga ma un trasferimento di liberi cittadini in una terra promessa dal faraone, il quale essendo la reincarnazione del Dio, giustifica il concetto della “Terra Promessa da dio”.
In realtà la bibbia e il concetto di “ebreo” nascono durante l’esilio babilonese, tra il VII, e il VI secolo a.C., quando gli abitanti di Gerusalemme, su istigazione dei profeti, in particolare di Ezechiele, si rifiutano di arrendersi a Nabucodonosor, come avevano fatto il faraone e le altre città palestinesi, convinti che dio come era già accaduto in un precedente assedio, avrebbe salvato la città dalla distruzione.
Pertanto Ezechiele bisognoso di giustificare la mancata realizzazione della sua profezia, e di confermare il mito della razza prediletta, sostenne che dio aveva voluto punire la città perché all’interno delle sue mura si celebravano riti pagani.
Infatti al ritorno dall’esilio, il monte Sion venne dichiarato sacro e inviolabile, e furono vietate tutte le celebrazioni religiose che non fossero in onore di Yahweh, come ad esempio l’Eucarestia celebrata da Gesù.
Per chiarezza bisogna precisare che prima dell’esilio gli abitanti di Gerusalemme erano Elohisti, vale a dire adoravano il dio del sole nel nome di El (Elohim), come appare anche all’inizio della bibbia, e come suggeriscono anche i nomi del profeti Elia ed Eliseo, e anche dello stesso Ezechiele, Y’khzqel in ebraico, che significa “Forza di El”, ma nella biblioteca di Assurbanipal scoprono che si tratta di un dio adorato dai pagani, omonimo del greco Elios e del l’anatolico Ilios da ciò il concetto di culti ellenizzati, che si scontra con il desiderio biblico di un dio dei Giudei che protegga solo loro, da ciò il passaggio all’adorazione di Yahweh, una divinità fino ad allora sconosciuta, adorata da una piccola tribù di pastori semiti chiamata Shasu di Yahweh, quindi una divinità locale sicuramente non corrotta dai culti pagani.
Voglio comunque sottolineare che il teonimo Yahweh presenta una certa affinità etimologica con Giove e con Geova, il quale non è altro che la traslitterazione del tetragramma biblico: “YHWH”, che indica Dio.
Gli shasu erano un gruppo di pastori nomadi che probabilmente iniziarono a penetrare nella piana di Jezreel dopo la distruzione di gerico, i quali erano famosi per essere particolarmente inclini al brigantaggio, per questo anche lo stesso Ramsete II fu costretto a compiere diverse spedizioni per punirli assieme ai vassalli che si ribellavano al faraone.
Il territorio dove operavano si estendeva dalla Siria alla valle di Jezreel Ashkelon e il Sinai, ragion per cui, oggi molti studiosi sono propensi a credere che gli shasu si siano insediati nella piana di Jezreel, fondando quello che diventerà lo stato di Israele.
Nel’elaborare le loro assurdità, i profeti si servirono delle testimonianze storiche raccolte in una biblioteca da Assurbanipal, re degli assiri e padre di Nabucodonosor, attraverso le quali stabilirono una linea genealogica che collegava tra loro personaggi della mitologia mesopotamica vissuti in epoche diverse, e che i profeti hanno imparentato attribuendo ai patriarchi un età plurisecolare, un escamotage già utilizzato dai sumeri per riempire le carenze storiche nella continuità delle loro dinastie.
La biblioteca con i suoi reperti archeologici è ancora oggi fonte di numerose informazioni per gli studiosi moderni.
In realtà la Palestina deve il suo nome al fatto che era abitata dai “Filistei” o meglio chiamati dalla bibbia “Philistei”, mentre gli egizi li chiamavano “Peleset”, da cui il toponimo Palestina, mentre per i greci classici erano i “Pelasgi, in quanto imparentati con le popolazioni primitive che hanno colonizzato la Grecia.
Anche il nome del fiume Giordano è di origine indoeuropea in quanto contiene la radice “Danu”, che lo inserisce nel gruppo dei fiumi le cui rive erano abitate dai danai, come l’Eridano, il Rodano, il Danubio, e il Don.
Un’altra dimostrazione che gli abitanti primitivi della Palestina erano una popolazione di origine caucasica, portatrice del cromosoma “Y R1b” che secondo gli studi, compiuti dal professor Sforza Cavalli, sulla diffusione dei cromosomi maschili durante le migrazioni, viene collocata anche in Palestina già 9 mila anni fa.
Questi caucasici che la bibbia chiama “Camiti” in seguito raggiungeranno la valle del Nilo e la risaliranno fino a diffondersi nell’africa subequatoriale, che allora era ancora una savana abitabile, popolata da gente appartenente ai ceppi primordiali: “A, B, C, D, E “.
Possiamo supporre chei camiti provenivano dalla “Iberia”, una regione caucasica oggi chiamata Georgia, e che i greci chiamavano “Colchide”, la terra dove Giasone rubò il “Vello D’Oro”, e facevano parte del flusso migratorio primitivo conseguente all’aumento della salinità del Mar Nero che avrebbe allontanato le mandrie dal luogo.
Certo usare il termine flusso migratorio per un evento avvenuto 9000 anni fa è un po esagerato, in quanto si trattava di un clan familiare, composto da poche centinaia di persone, le quali occupavano un territorio fino a quando le risorse naturali del luogo, erano in grado sostentarli, dopo di che i secondogeniti e i figli successivi partivano per colonizzare altre terre lasciando i beni di famiglia ai genitori e ai primogeniti, che dovevano averne cura.
Quindi di generazione in generazione nella loro migrazione verso la valle del Nilo e successivamente la Spagna, gli iberi lasciano dietro di sé le loro radici, che in seguito presero il nome di Filistei.
Nel frattempo in India, aveva avuto inizio un altro flusso flusso migratorio verso il mar Nero, di una popolazione appartenente ai gruppi “H e K” che poi si dividerà come gli indoeuropei formando due gruppi genetici diversi, il gruppo I1 gli scandinavi e il gruppo I2 gli slavi, si dirigeranno verso il Nord Europa, mentre il gruppo “J1 con il gruppo J2”, che secondo la bibbia erano i semiti si dirige verso la penisola Araba, attraversando la Siria e la Palestina con e come i camiti, lasciando indietro le loro radici, che continueranno a convivere in modo burrascoso fino ai giorni nostri.
A quei tempi la penisola Araba, come il Sahara, era ancora una savana abitabile.
In seguito con la progressiva desertificazione della penisola i semiti inizieranno un progressivo ritorno verso l’area mediterranea, dove diventeranno protagonisti della grande storia
Da notare che: Sahara è un sostantivo antico che con ogni provabilità aveva proprio il significato di savana.
Come ho già detto la Palestina la Giordania il Libano e parte della Siria erano sottomesse al faraone d’Egitto, ed archeologicamente non esistono tracce dei regni di Giuda, e di Israele indipendenti, ma esistevano confederazioni di città stato, aventi una propria identità religiosa e militare.
Un esempio di ciò sono le lotte contro i Peleset, gli abitanti primitivi della Palestina, e poi durante l’età del ferro come alleati dell’Egitto contro l’invasione degli Assiri.
Da ricordare anche la battaglia di Quadesh combattuta nel 1274 a.C., tra l’esercito egiziano e quello Ittita per il possesso della città che si era ribellata al faraone, durante la quale Ramsete II evitò una disastrosa sconfitta, grazie all’arrivo provvidenziale di un gruppo di mercenari palestinesi.
Questo gruppo di mercenari palestinesi sarebbero all’origine della leggenda legata alla spartizione delle acque, in quanto i palestinesi avrebbero guadato il fiume Oronte, prima dell’arrivo degli ittiti, i quali tesero un’imboscata alla seconda armata egiziana, mentre guadava il fiume, la quale stava accorrendo di rinforzo al faraone, che a sua volta era caduto in un agguato.
Ogni città aveva un propria divinità suprema alla quale ubbidivano gli altri dei, in pratica si trattava di eresie della religione sumera i quali se pur di origine hindi, erano gli abitanti primitivi del territorio infatti il loro etnico “Sumer”, non significava “signori” come ritengono gli studiosi, ma porterebbe all’indoeuropeo “Suma”, = “Sopra”, vale a dire i signori dell’altipiano, in pratica si trattava di gente proveniente dagli altipiani Himalayani, la quale è scesa in Mesopotamia, abitando prima il Caucaso la Persia e la Siria, influenzando con la loro cultura più avanzata quella europea.
Testimonianza di ciò è il monte Libano che i sumeri chiamavano “Monte dei Cedri”, la montagna della Grande Madre “Inanna”, alla quale erano sacri i cedri del Libano, con l’espansione della società semita I teonimi sumeri furono sostituiti con nomi semiti.
I dati antropologici forniti dai resti umani rinvenuti in Mesopotamia attribuiscono ai sumeri una presenza pari a tre individui su dieci, mentre gli altri sette sono da dividere tra siriani e persiani
Abramo il capostipite della stirpe ebraica nasce a Ur, città sulla quale secondo la tradizione sumera si era posata la regalità di “Nanna” il dio lunare che i semiti chiamavano “Hubal, oppure “Sin”, poi Abramo va a vivere a “Carre”, l’odierna Harran, un’altra città sottoposta alla regalità di Nanna.
Da ricordare che secondo alcune ipotesi, Abramo nasce quando Ur è sottomessa al regno semita degli Akkadi, quindi la divinità lunare era chiamata “Hubal”, o “Sin”.
Prima dell’islamizzazione, anche la massima divinità degli arabi era “Hubal”, quindi: se come dice la bibbia, Ismaele era il patriarca del popolo arabo, a Lui e ad Abramo si deve la diffusione del culto di Hubal in Arabia, infatti a La Mecca, nella Ka’ba (Cubo Nero) è ancora custodita la “Pietra Nera”, un idolo che era adorato nella Ka’ba pre diluviana, che secondo la tradizione araba, Noè mise al sicuro prima del diluvio, e in seguito recuperata da Ismaele per conto di Abramo.
Da ciò possiamo affermare che il dio di Abramo non era Yahweh, ma Hubal, in oltre nella bibbia ebraica inizialmente Yahweh è chiamato “El” come la divinità solare dei fenici e degli altri semiti, tanto che il profeta Elia arriverà a uno scontro con i profeti fenici per affermare la propria superiorità nei rapporti con El.
Sempre su Abramo, considerando i vantaggi economici e di potere che ne ricavavano i fratelli della sposa del faraone, trovo molto sospetta la decisione del patriarca di presentare Sara al faraone come sorella; un capo tribù capace di liberare il nipote e i suoi servi, prigionieri dell’esercito elamita, aveva proprio paura che il faraone gli rapisse la moglie sessantacinquenne?
Da ricordare che a parte il culto persiano di Mitra, la massima divinità dei semiti era Ba’al, chiamato anche El o Helios, che in origine significava “Dio”, mentre per i popoli di stirpe Iberica e Albanese (Azerbaijan) (i futuri europei), sarà “Be’el” chiamato anche Beleno o Windo.
Sulla scorta delle scoperte archeologiche si sono fatte molte supposizioni sull’esodo, si è anche arrivati a negare che sia mai avvenuto, in quanto è archeologicamente dimostrato che alla costruzione delle piramidi (avvenuta comunque nel 3000 a.C.) non lavoravano schiavi, ma operai, i quali dai dati antropologici ricavati dai loro scheletri, risultano ben nutriti e curati, anche le fratture erano ricomposte in modo soddisfacente, mentre lo schiavismo aveva dei contorni molto meno tenebrosi da quelli descritti dalla tradizione biblica, soprattutto in considerazione del fatto che gli schiavi bisognava comprarli, pertanto la loro vita era preziosa.
Gli eventi storici documentati, che possono aver provocato un esodo sono due: il primo risale al XXI secolo a.C., che coincide con il primo periodo intermedio del regno, durante il quale la rivolta dei governatori produrrà una crisi di potere che durerà almeno un secolo, durante il quale i faraoni non avranno più la disponibilità economica per costruire le piramidi, una tradizione che non sarà più ripresa; e senza piramidi da costruire decine di migliaia di persone rimasero senza lavoro, pertanto mi sembra evidente che allora ci fu un esodo verso nuovi territori da colonizzare.
In merito alle piramidi bisogna precisare che la loro tradizione non è altro che l’evoluzione della cultura “Kurgan”, dei mitici proto indoeuropei provenienti dal Caucaso, i quali costruivano tombe a tumolo con camera mortuaria al suo interno, che poi ricoprivano con lastre di pietra bianca come gli egizi.
L’altro evento storico sospetto e più documentabile è l’abbandono della città di Akhtaton, oggi conosciuta come “Amarna”, la città abbandonata.
La vicenda ha inizio nel 1351 a.C., quando sale al trono del regno d’Egitto Amenofi IV, figlio di Amenofi III.
L’Egitto sta vivendo il suo massimo splendore, ma le regalie e i privilegi concessi al clero e ai templi, dope le vittorie in guerra, privavano lo stato di una parte del bottino e delle entrate fiscali, necessarie a sostenere l’apparato burocratico e militare, delle quali clero e templi erano esenti.
Pertanto Amenofi tenta una mediazione con il clero, nella speranza di ottenere una contribuzione economica, ma davanti all’intransigente rifiuto del clero, Amenofi decide di procedere a una rigorosa riforma religiosa, istituendo il culto di stato, il quale imponeva Aton come unico dio e aboliva i privilegi delle altre religioni, e in onore di Aton, Amenofi cambia il proprio nome in “Ekhnaton”, e fonda la città di Aton, “Akhtaton”, dove trasferirà la capitale d’Egitto.
Il culto di Aton riprendeva le tradizioni di una religione molto più antica, proveniente dalla Persia, il culto di Mitra, il Dio Sole, il quale aveva una tradizione e una liturgia dalla quale deriverà il cristianesimo, fondata sulla pace e uguaglianza tra gli uomini, tanto che ancora oggi festeggiamo l’adorazione dei Magi, i quali non erano altro che i sacerdoti del Dio Sole Mitra.
Il culto del Sole Invicto, di origine Persiana, aveva molti proseliti tra i poveri, e si era diffuso in Anatolia, in Grecia, in Siria in Palestina, e quindi in seguito si diffonderà anche tra i soldati romani.
Alla morte di Ekhnaton i sacerdoti di Amon e i nobili loro alleati, diedero vita a una rappresaglia nei confronti dei fedeli al culto di Aton, i quali per porsi al sicuro, dovettero ripudiare il dio e abbandonare la città di Akhtaton pertanto questa situazione politica mi sembra molto aderente al contesto biblico.
I primi a pagarne le conseguenze furono i successori diretti di Ekhnaton, il primo fu “Neferneferuaton”, gli studiosi suppongono che si trattasse della sua vedova “Nefertiti” o della figlia “Meryaton” (Amata da Aton), alla quale successe immediatamente Smenekhkare che gli sopravvisse solo pochi mesi, non si sa se era un fratello o un genero di Ekhnaton, al quale subentra il giovanissimo Tutankhaton (1347 – 1339 ac), a lungo creduto un altro genero di Ekhnaton, ma recentemente la genetica ha dimostrato che era un figlio, il quale per la giovane età sale al trono sotto la tutela dei sacerdoti di Amon, i quali gli impongono di cambiare il proprio nome in Tutankhamon e di reintegrare nei propri privilegi i sacerdoti ed i templi di Amon.
Tutankhamon muore assassinato al raggiungimento della maggiore età, quando tenterà di rivendicare i pieni poteri.
La vedova e sorella del faraone, Ankhesenamon, chiede al re ittita Suppiliuiuma di sposare uno dei suoi figli, ma anche questo: “Zannanzas”, viene assassinato durante il viaggio verso l’Egitto, contemporaneamente scompare anche Ankhesenamon, forse accusata di tradimento, quindi diventa faraone il vecchio Eje, il gran visir fin dai tempi di Ekhnaton, il quale muore anche Lui dopo quattro anni
La mancanza di eredi legittimi e il disordine favorito dalla precedente inerzia militare di Ekhnaton portano alla ribalta un vecchio generale: Horembeb (1335 – 1308 ac) il quale era stato uno dei principali collaboratori di Akhnaton, e pertanto aveva fatto carriera nell’esercito, fino al punto da mettersi al riparo da eventuali vendette.
Horembeb non avendo eredi maschi stabilì un rapporto di parentela con il suo braccio destro, il formidabile e fedelissimo Ramsete, con il quale, favorendo il matrimonio della figlia Tuia, con Seti, figlio di Ramsete, forma un triangolo di potere inattaccabile da chiunque, che lo mette al sicuro da eventuali complotti.
Sceso a patti con i sacerdoti, rimette ordine nel paese e ai confini, e per compiacere i sacerdoti di Amon, maledice Ekhnaton, demolisce i templi di Aton, impedisce il Suo culto e proibisce persino che venga pronunciato il Suo nome, mentre nei documenti ufficiali il nome Aton viene cancellato e sostituito con l’appellativo: “Il criminale Ekhnaton”.
Ma di recente nei sotterranei del tempio di Luxor è stato ritrovato un magazzino segreto, nel quale era custodita anche una statua che raffigurava Horembeb in adorazione di Aton.
Chiaro che in un clima simile i fedeli di Aton siano stati perseguitati, ignorati e cancellati dalla storiografia ufficiale, e qui possiamo immaginare Mosè, il cui nome è il sinonimo ebraico di Ahmose (Amato da Dio), nome del primo faraone della decadente XVIII dinastia. Forse Mosè era un discendente di Ekhnaton, fuggito dalle persecuzioni, e poi ritornato in Egitto per rivendicare il trono, prima o dopo la morte di Horembeb, quando Ramsete I da inizio la XIX dinastia.
Dal punto di vista archeologico non risulta che Horembeb abbia avuto figli maschi, anche se la mummia della sua seconda moglie, Mutnodjemet fu rinvenuta con un feto al suo interno e tracce di altre gravidanze, quindi per la bibbia quel feto deceduto prematuramente con la madre, potrebbe essere l’amato figlio che dio fece morire per punire il faraone. Anche qui trovo raccapricciante il fatto che un dio del bene, faccia morire un bambino per punire il padre, e la bibbia è piena di dogmi sanguinari contrari alla morale cristiana e civile.
Nello stesso periodo in cui si svolge la vicenda di Horembeb, sarebbe avvenuta l’esplosione del vulcano Thera, oggi Santorino un evento catastrofico che potrebbe spiegare i tre giorni di buio e la pioggia di ceneri, un fenomeno non riscontrabile nella valle del Nilo a causa delle alluvioni, ma accertato sui monti del Sinai negli strati archeologici di quel periodo.
Anche l’arrossamento delle acque è stato un fenomeno naturale dovuto alla presenza di un’alga, la Trichodesmium erythraeum, che in particolari condizioni climatiche si diffonde in modo endemico, colorando le acque di rosso bruno, un fenomeno caratteristico che da il nome al Mar Rosso.
Il bastone di Mosè che si trasforma in serpente non era altro che, quello che i romani chiamavano “caduceo” un bastone di quercia attorno al quale era avvolto un serpente, come siimbolo della protezione divina, usato dagli ambasciatori come lasciapassare in terra straniera, grazie al quale Mosè può ritornare in egitto nonostante la condanna a morte
La tradizione del caduceo ha avuto origine in epoca primordiale, come scettro del re divino, con il quale, più il serpente era grosso e pericoloso, maggiore era la protezione divina di cui godeva il monarca.
Figuriamoci poi se una invasione di cavallette poteva affamare un paese granaio del Mediterraneo, dove il raccolto avveniva due volte l’anno.
Ramsete I, figlio di contadini, aveva fatto carriera nell’esercito fino a diventare il braccio destro di Horembeb e Suo consuocero; era nato ad Avari una città situata nel delta del Nilo, antica capitale del regno degli Hyksos, dove si adorava il Dio Seth, e quindi non era particolarmente compromesso con il clero di Amon, pertanto Mosè avrebbe potuto ritornare in Egitto per rivendicare i diritti del popolo che rappresentava, ed il faraone, forse con lo scopo di non far torti a nessuno e allontanare la fonte di eventuali disordini e complotti, salomonicamente potrebbe aver promesso a Mosè una terra favolosa dove scorrono fiumi di latte e miele.
Qui la bibbia suggerisce un rimedio contro il catastrofismo degli ecologisti, in quanto la valle dove latte i miele scorrono a fiumi è una terra semi desertica, dove crescono le acacie, alberi invasivi, resistenti al fuoco e alla siccità, i quali forniscono un grande nutrimento alle capre e alle api, e sono un ottimo rimedio per la bonifica dei deserti.
La Palestina, nei confronti dell’Egitto e Mesopotamia, non era per niente un paradiso fatto di latte e miele, ma certamente era la più fertile tra i territori del Retenu, ed i popoli che già l’abitavano non avrebbero accettato altre intrusioni, lì era terra di confine, lontana dalla capitale, e una volta pagati i tributi al faraone, promesse o non promesse ognuno faceva quel che voleva, e nessuno si sarebbe fatto da parte per favorire i nuovi arrivati, la terra promessa andava conquistata con la forza.
Ma il culto di Aton impediva la guerra, da qui i 40 anni di nomadismo nel deserto, terminati con la morte di Mosè, quando la seconda anima del popolo, quella dei nomadi pagani che adoravano il “Vitello D’Oro”, i quali si erano aggregati a Mosè durante l’esodo, prende il sopravvento sui seguaci di Aton e decide di combattere per conquistare la terra.
Secondo la Bibbia alla partenza dell’esodo, Mosè disponeva di 650000 uomini atti alle armi, un esercito formidabile, considerando che l’Egitto contava poco più di 4 o 5 milioni di abitanti, mentre in Palestina si arrivava più o meno verso il mezzo milione di persone, l’improvviso assentarsi di tutta questa forza lavoratrice avrebbe dovuto mettere in ginocchio l’economia del paese, ma ammesso che gli Hapiru, nomadi del deserto Arabico, che qualcuno identifica per gli ebrei, abbiano prontamente sostituito i partenti, nei cartigli egiziani non si fa nessun cenno all’evento, colpa dei sacerdoti di Amon che anno imposto il silenzio?
Esauriti gli argomenti attestati dai ritrovamenti archeologici provo a dibattere alcune tradizioni bibliche che sono in contrasto con le tradizioni e la cultura del loro tempo.
La storia di Giuseppe è palesemente solo un mito, in quanto è ampiamente risaputo che i sogni sono solo il frutto delle nostre ansie e dei desideri inconsci, mentre nell’antichità, le apparizioni degli dei in sogno, erano uno strumento per far accettare alla gente le decisioni più impopolari; tanto che anche Abramo collocava la propria tenda sotto a una quercia sacra, proprio per simboleggiare il suo dialogo con dio.
Nell’antichità, a scopo diplomatico, ma anche come forma di garanzia alla sottomissione per i popoli sconfitti, era in uso inviare giovani ostaggi alla corte dei re, ed è quello che sicuramente fece Giacobbe, con il figlio Giuseppe, infatti la stessa bibbia ammette che il patriarca aveva destinato Giuseppe ad essere istruito.
E dove poteva avvenire l’istruzione del figlio di un capo tribù nomade, se non alla corte del regno, culturalmente e tecnologicamente più evoluto del suo tempo?
Infatti con lo scopo di poter trattare con una controparte istruita, l’Egitto si era assunto l’onere di erudire i figli dei capi delle tribù sottomesse.
Ricordiamoci che Giacobbe come capo di una tribù nomade che viveva nel Retenu, era un vassallo del faraone, e come vuole la prassi nei rapporti tra un sovrano e un suo feudatario, non avendo figlie da dare in sposa al faraone, doveva mandare un figlio, e questo non esclude l’ipotesi che Giuseppe fosse destinato anche a sposarsi con una principessa egiziana.
La tradizione vuole che Giuseppe fosse particolarmente bello, e quindi è supponibile che abbia attirato l’attenzione di qualche principessa, suscitando l’invidia dei fratelli e dell’ambiente di corte, il che gli ha procurato le disavventure citate nella bibbia.
Comunque il matrimonio con una figlia del faraone spiega i privilegi e il potere politico raggiunti da Giuseppe, privilegi di cui comunque ne hanno tratto profitto sia la sua famiglia che la tribù.
Ma i privilegi come arrivano se ne vanno, e con il cambio delle generazioni cambiano anche gli equilibri politici, pertanto può succedere che chi prima spadroneggiava, ora deve subire le vendette di chi un tempo gli era sottomesso, e quindi diventa evidente il senso di persecuzione evocato dalla bibbia.
Pertanto il mito di Giuseppe che interpreta i sogni e risolve i problemi del faraone è solamente il frutto della manipolazione della verità allo scopo di mitizzare un personaggio, e per non ammettere di aver ricevuto privilegi.
Una dimostrazione sul fatto che gli egizi non avessero bisogno di Giuseppe per risolvere i loro problemi, ce lo offre il capitolo della bibbia legato all’esodo, quando il popolo si lamenta con Mosè della mancanza di aglio per curare le malattie, che gli egiziani fornivano loro.
Lo stesso avviene con Gesù, il quale essendo stato educato dai Re Magi possedeva il sapere e quindi il potere di curare malattie che per i semiti allora erano gravi o mortali e da ciò il mito dei miracoli.
Anche il comportamento di Abramo nei confronti del faraone lascia spazio a sospetti.
Infatti Abramo viene accolto alla corte del faraone come il capo di un popolo proveniente dalla lontana Carre (Harran), città posta in Turchia, che chiedeva di insediarsi nel Retenu (Palestina) quindi si trattava di una personalità con la quale bisognava stabilire un’alleanza, concedere di stabilirsi in una parte del regno, pertanto, era naturale che come era in uso allora tra i due personaggi si realizzasse una parentela.
Abramo non aveva figlie o sorelle da offrire in sposa al faraone da, qui l’idea di presentare Sara come sorella, in quanto lo scopo non era tanto quello di soddisfare il piacere del faraone, ma quello di stabilire rapporti di parentela con un capo tribù alleato, ma considerando la tarda età di Sara, non si può escludere che Abramo sperasse in una rinuncia del sovrano.
In pratica non si può nemmeno escludere che si trattava del classico piatto di minestra senza sale, offerto on l’intenzione di ottenere un rifiuto.
In ogni caso anche Abramo avrebbe ottenuto una sposa proveniente dalla famiglia del faraone, probabilmente quella che la bibbia definisce: la schiava “Agar”.
Infatti alcune tradizioni la vogliono figlia di una seconda moglie di “Thutmosis III” (1481 a.C./1425 a.C.), quindi era sicuramente una principessa, questo spiega l’atteggiamento irriverente di Agar nei confronti di Sara, e l’ostilità del popolo nei confronti della straniera.
Che il matrimonio di Sara con il faraone fosse puramente diplomatico ce lo dimostra anche il fatto che alla scoperta della verità, il sovrano non si è adirato, ma sembra aver apprezzato il fatto che Abramo abbia rinunciato alla moglie pur di allearsi con lui, e considerando la tarda età di Abramo, il faraone potrebbe aver creduto che comunque i figli di Agar avrebbero dato vita a una stirpe di feudatari fedeli all’Egitto.
Mentre per contro bisogna considerare che per Abramo imparentarsi con il faraone, implicava notevoli privilegi, sia a livello politico e sociale, che economico, infatti si può dire che il regno d’Egitto navigasse nell’oro estratto nella Nubia, del quale i faraoni ne facevano sfoggio regalandone discrete quantità ai sovrani amici.
Quindi rimane qualche dubbio se la decisione di Abramo di presentare Sara al faraone come sua sorella sia stata presa come un atto diplomatico per ovviare alla carenza di figlie o perché attratto dalle ricchezze e dai privilegi che ne conseguivano.
Certamente mi pongo dei dubbi sulla maternità di Sara in età veneranda, dubbi supportati dal fatto che Agar fosse considerata una “Straniera”, e quindi non adatta ad essere la madre del futuro capo tribù; pertanto considerando la longevità attribuita dalla bibbia ai due personaggi, suppongo che Isacco sia stato un capo imposto dalla tribù, al quale si è voluto attribuire la discendenza da Abramo assegnando al patriarca e alla consorte, una data di morte postuma a quella effettiva.
Anche il mito della distruzione di Sodoma e Gomorra, è il frutto del terrorismo psicologico provocato dall’uso divinatorio dei fenomeni naturali, allo scopo di manipolare il pensiero della gente.
Infatti la distruzione di Sodoma e Gomorra è stato un evento naturale che trova ampie spiegazioni scientifiche, in quanto il mar Morto oltre ad avere le acque estremamente salate tanto che Sodoma e Gomorra prosperavano proprio grazie al commercio del sale, sul fondo aveva un deposito di catrame che periodicamente affiorava abbondante dalle sue acque.
Ovviamente la presenza di catrame implica anche la presenza di idrocarburi gassosi, pertanto la fuoriuscita imprevista di una grossa bolla gassosa ha sicuramente determinato una deflagrazione, la quale a causa della natura del luogo, ha avuto un effetto molto spettacolare e distruttivo.
Infatti il mar Morto è posto all’interno di una depressione, per cui il livello delle sue acque di aggira attorno ai 427 m sotto il livello del mare., quindi l’esplosione è avvenuta all’interno di una cassa di risonanza naturale, che ha diffuso il boato in modo abnorme.
Ovviamente i mercanti che trasportavano il sale, sono rimasti investiti dall’esplosione mentre risalivano il dirupo generando il mito delle persone trasformate in statue di sale.
Un’altra ipotesi sulla distruzione di Sodoma e Gomorra sarebbe l’esplosione di un meteorite sopra il mar Morto.
Il ritrovamento dei resti di Tell el-Hammam nei pressi della foce del Giordano, ha permesso di dimostrare l’antica esistenza di una città distrutta da una catastrofe naturale durante l’età media del Bronzo, in quanto la posizione delle macerie e la presenza di cenere, ha permesso di stabilire che le mura sono state abbattute in un ‘unica direzione da un’onda d’urto incandescente, proveniente dal mar Morto con direzione N.E. provocata da un’esplosione avvenuta sul mare.
All’esplosione è seguito anche un maremoto che ha ricoperto di sale il territorio rendendolo sterile per 700 anni.
L’ipotesi di un asteroide è supportata dal ritrovamento di trinitite, silicio vetrificato a temperature ottenibili solo da un’esplosione nucleare, e quindi eguagliabile solo da un asteroide che arriva sulla Terra a velocità siderale; La pietra ritrovata conteneva anche uno zircone.
In un’epoca in cui i profeti osservavano gli astri per capire la volontà degli dei, fu facile argomentare che l’evento era il frutto della volontà divina di infliggere un castigo.
Ovviamente non tutta la comunità scientifica condivide questa ipotesi, ma francamente, l’unico dubbio lo troverei sulla datazione dell’evento, In quanto i pochissimi cocci di vasellame ritrovati potrebbero essere la traccia di accampamenti di banditi o mercanti, postumi alla tragedia, la quale potrebbe essere avvenuta in un’epoca più remota, in quanto, anche considerando il fatto che i nomi biblici non coincidono con quelli delle altre culture, trovo sospetto che la catastrofe del mar Morto, forse anche all’origine del toponimo, non abbia riscontro tra le iscrizioni egizie e mesopotamiche.
Gli unici riferimenti li ritroviamo nell’Epica di Erra chiamato anche Nergal, una divinità sumera, detentrice dei poteri sul calore solare, sul fuoco sulle inondazioni e le pestilenze, ma sembra che in realtà esistevano due gemelli, uno dei quali era lo sposo di Ereshkigal la regina degli inferi, quindi una specie di Apollo, il quale distruggeva le città che si sottomettevano alla regalità di Marduk, tra le quali si cita anche Babele.
Quindi Erra, che deteneva il potere di far evaporare la gente e le cose, trasformandole in sale, può aver fornito i dettagli che hanno costruito il mito di Sodoma e Gomorra, città corrotte da un altro dio.
Alla teoria dell’asteroide si può associare anche la leggenda di Fetonte (Ovidio), il quale ottenuto dal padre, Helios, il permesso di guidare il carro solare, si avvicinò troppo alla terra, fino ad asciugare i fiumi, bruciare le foreste, incendiare il suolo, che in Africa divenne deserto e colorare di nero la pelle degli etiopi, tanto da costringere Zeus a colpirlo con un fulmine e farlo precipitare nell’Eridano dove annegò.
Le sorelle che lo piangevano sulla riva del fiume furono trasformate in pioppi e le loro lacrime in ambra, mentre l’amico Cicno fu trasformato in cigno.
Il fatto che Cicno fosse indicato come il re dei Liguri non deve trarre in inganno, in quanto secondo Clemente Alessandrino la tragedia si verificò nello stesso periodo del Grande Dilavamento di Deucalione e Pirra, quindi quando Liguri e Umbri vivevano ancora nel Caucaso.
Infatti, altre fonti (Eschilo), indicano il luogo della caduta nell’Iberia caucasica, la terra d’origine dei danai, e degli iberi, pertanto in considerazione del fatto che gli idronomi: Eridano e Giordano contengono entrambi la radice Danu, ritengo che il mito sarebbe di origine medio orientale.
Non a caso nella cultura celtica, che è la continuazione delle tradizioni danaidi, il pioppo, che appartiene alla famiglia dei salici, diventerà l’albero sacro ai morti in battaglia, e ancora oggi è utilizzato come arredo urbano all’ingresso dei cimiteri; mentre le lacrime delle Eliadi che furono trasformate in ambra, sarebbero la trinitite ritrovata a Tell el-Hammam, allora considerata una pietra preziosa e raccolta in abbondanza, tanto da creare il mito di una città ricca e potente.
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